Il “canneto” e le “frattaje”: la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio


I soprannomi della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio
Il “canneto” e le “frattaje” sono i soprannomi della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, una splendida chiesa barocca nella spettacolare piazza della Fontana di Trevi. E’così che i romani chiamano questa bellissima chiesa molto spesso trascurata dai turisti, la cui attenzione è giustamente catalizzata da uno dei monumenti più apprezzati in tutto il mondo. Ma la chiesa merita una visita, perché ne ha di storie da raccontare. E a me le storie piacciono, perché le storie degli edifici e dei monumenti non possono che raccontare storie di uomini che fanno parte del nostro passato e che sono, quindi, parte integrante della nostra identità e della nostra appartenenza a una comunità.
E la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio ha tanto da raccontare, tra le sue cappelle e le sue colonne si narrano storie di uomini e donne amati, apprezzati e dimenticati…Ma andiamo per ordine e cominciamo dai suoi soprannomi.

Il “canneto” e altri nomignoli
Forse tale soprannome è quello più intuitivo. Se vi appostate in piazza e guardate da lontano la facciata della chiesa noterete immediatamente una cosa curiosa: il numero delle colonne. La chiesa fu costruita da Martino Longhi il Giovane tra il 1644 e il 1650 per il cardinale Giulio Mazzarino su una precedente chiesa del ‘300 dedicata a Sant’Anastasio de Trivio (da trivium, incrocio di tre vie, toponimo della Piazza di Trevi) ed è caratterizzata da ben 18 colonne! Ed è questo il motivo del soprannome; la chiesa, infatti, assomiglia a un canneto.
Ma i soprannomi non sono finiti qui. La chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, infatti, fino a metà dell’’800 era soprannominata “Parrocchia pontificia” e questo perché all’interno della stessa si conservavano i precordi (organi interni all’altezza del diaframma) dei papi da Sisto V a Leone XIII. La pratica di asporto e conservazione veniva effettuata perché rendeva più agevole l’imbalsamazione che poteva essere compromessa da organi facilmente decomponibili. E’ per questo motivo che i romani la chiamavano la chiesa delle “frattaje”, cioè delle interiora.
E il primo che la chiamò così fu il Belli (Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli, poeta italiano molto prolifico, compositore di sonetti romaneschi che raccolse la voce del popolo romano del XIX secolo, 1791-1863). Vi riporto qui proprio il suo sonetto che in modo meraviglioso descrive quest’usanza poi interrotta da papa Pio X.
San Vincenz’e Ssatanassio a Ttrevi
Tu tte sbajji: nun è in una cappella,
è ppropiamente su a l’artar maggiore.
Li stanno li precòrdichi, Pacchiella,
d’oggni Sommo Pontescife che mmore.Che mme bburli? te pare poco onore?
Drent’una cchiesa er corpo in barzamella,
e ddrent’un’antra li pormoni, er core,
er fedigo, la mirza e le bbudella!Morto un Papa, sparato e sprufumato,
l’interiori santissimi in vettina
se conzeggneno in mano der curato.E llui co li su’ bboni fratiscelli
l’alloca in una spesce de cantina
ch’è un museo de corate e de sciorcelli.22 aprile 1835
Curiosità

Una curiosità che riguarda ancora la facciata della chiesa va certamente ricordata; parlo del timpano su cui il cardinale Mazzarino fece inserire non solo il suo stemma incorniciato da quattro grandi angeli (e fin qui niente di strano se non un po’ di esuberanza) ma anche due figure femminili a seno nudo e un mezzobusto di donna al centro della facciata.
Per quanto riguarda le due figure femminili a seno nudo, le potete ammirare in alto, ai lati della chiesa in prossimità delle sei colonne. Era un fatto decisamente inusuale per il tempo, perché si trattava di un nudo non sacro, così come inusuale era il mezzo busto di donna al centro del portone sotto lo stemma pontificio. Er la prima volta che una figura laica decorava una chiesa.
Il caso del mezzobusto femminile era un’altra stravaganza nell’architettura dell’epoca perché con molta probabilità si trattava della nipote prediletta del cardinale, Ortensia, seducente e anticonvenzionale, nota per i numerosi scandali dovuti alle sue avventurose relazioni sentimentali.
Tombe illustri e tombe dimenticate
All’interno della chiesa, va certamente menzionato il dipinto sull’altare maggiore del pittore romano Francesco Pascucci (1748 – ?) che non ho avuto il piacere di apprezzare bene, perché come potete vedere dalla foto, la chiesa era in ristrutturazione; il dipinto rappresenta il Martirio dei Santi Vincenzo e Anastasio.
Come ho ricordato in un mio vecchio articolo, nella Cappella dell’Addolorata vale la pena di visitare la tomba di Zinaida Volkonskaja, una poetessa e una scrittrice russa, famosissima a Roma per i suoi famosi salotti letterari che si tenevano nel vicino Palazzo Poli. Il salotto riuniva noti scrittori del tempo come lo stesso Gioacchino Belli e Gogol’ tra i nomi più interessanti.

Voglio ricordare un’altra curiosità legata a una tomba di un personaggio illustre della storia romana (e non solo), Bartolomeo Pinelli (1781 – 1835), incisore e pittore molto prolifico che nell’arco della sua carriera ha dato enorme spazio a soggetti raffiguranti Roma, i suoi abitanti e i suoi monumenti. Il Pinelli è stato imbalsamato e sepolto alla sua morte nella chiesa di Vincenzo e Anastasio, ma all’interno della stessa non è mai stato ricordato con una lapide che ne identificasse i resti. Nonostante le numerose ricerche che sono state effettuate nei primi del ‘900, non fu possibile comunque identificare il punto esatto della tomba. A seguito della ricerca infruttuosa, l’Istituto di Studi Romani provvide ad apporre una lapide per ricordare proprio il fatto che i suoi resti sono conservati nella chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio. Si dice che il mistero dei suoi resti fosse legato a una sorta di scomunica, ricevuta per non aver rispettato il digiuno pasquale, in conseguenza del quale le spoglie, dopo la sua morte furono, mandate via dalla chiesa…

Fonti:
poesia del Belli tratta da https://www.intratext.com/IXT/ITA1554/_P16K.HTM
CLAUDIO RENDINA, Le chiese di Roma, Newton Compton Editori, 2000



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