Pjatnica, la divinità russa del venerdì
Non dappertutto il venerdì porta male! Per gli antichi slavi il quinto giorno della settimana era da venerare, perché…
La personificazione dei giorni del calendario
Pjatnica, la divinità russa del venerdì era uno spirito che il popolo slavo venerava e celebrava fin dai tempi più antichi. Si venerava il venerdì? Ma non porta male? Beh sì, ma non dappertutto. O meglio, è un giorno funesto un po’ ovunque, perché Cristo fu crocifisso di venerdì, ma è anche un giorno da celebrare proprio per mantenere vivo il suo ricordo.
E come si celebra? I cristiani lo ricordano innanzitutto con il digiuno, ma anche con l’astensione da una serie di pratiche, quotidiane e non. Avete mai sentito il proverbio Né di Venere né di Marte, non si sposa non si parte, né si dà principio all’arte? Se avete deciso di sposarvi, di partire o anche di incominciare qualcosa di importante come ad esempio comprare o costruire una casa, beh, avete tutta la settimana per farlo, evitate di farlo il venerdì (Venere nel proverbio)! E infatti, in questo giorno della settimana i contadini russi si astenevano dall’arare i campi e le donne saltavano le faccende di casa come ad esempio lavare i pavimenti, fare il bucato e…filare. Ed ecco che entra in gioco Pjatnica, la dea russa del venerdì nota anche come la dea che fila…
Pjatnica, la dea russa del venerdì
Nell’arco di tutto l’anno gli slavi festeggiavano ben 12 venerdì! Ma quello più importante era il 10° che cadeva l’ultimo venerdì di ottobre. Questa festività aveva un nome vero e proprio, Paraskeva Pjatnica (Параскева Пятница) perché faceva riferimento alla santa martire Paraskovija, uccisa durante il regno dell’imperatore Diocleziano. Paraskovija infatti deriva dalla parola greca che significa “preparazione”. Per gli ebrei si intendeva “preparazione” alla festività del sabato, mentre per i cristiani il riferimento è al Venerdì Santo.
La cultura pagana popolare e contadina tendeva a sovrapporre le feste religiose canoniche con festività legate al ciclo della natura e viceversa (lo abbiamo visto già con la Festa del Salvatore del miele e con la Festa del Salvatore delle mele). Diciamo quindi che l’immagine della martire si diffuse così tanto tra il popolo che nell’immaginario collettivo si trasformò, diventando di fatto la personificazione di un giorno della settimana, il venerdì appunto, ossia la divinità Pjatnica.
Pjatnica e Paraskeva Pjatnica
Paraskeva Pjatnica è nota anchecome il nome Mokoš’ (Мокошь), un’antichissima divinità e una sorta di alter ego femminile del dio Perun. Per il popolo slavo Paraskeva Pjatnica era la santa protettrice delle donne, soprattutto delle filatrici, che il venerdì si dovevano astenere dai lavori duri, ma innanzitutto dal filare. E guai a non rispettare il divieto!Paraskeva Pjatnica infatti, essendo una vera e propria divinità, doveva essere adorata e rispettata, altrimenti avrebbe punito gli uomini. Non adempiere ai divieti del venerdì era un vero e proprio affronto e la dea non avrebbe avuto pietà.
Il giorno dedicata alla santa patrona era il 28 ottobre. Quel giorno, le giovani fanciulle chiedevano con una serie di rituali sostegno alla divinità per il matrimonio futuro oppure pregavano per un occhio di riguardo al nascituro.
Pjatnica e il rito della pioggia
Nell’immaginario popolare, la divinità era rappresentata da una donna alta e magra con capelli lunghi, sciolti o legati. Ancora oggi, una donna con queste caratteristiche viene chiamata “venerdì spilungona” (долговязая пятница). Oltre ad essere la patrona delle filatrici, Paraskeva Pjatnica era la patrona dei poveri e dei puri di cuore, ed era associata come abbiamo alla fertilità, al matrimonio, ma anche all’acqua. Quest’ultimo elemento è importante perché ci spiega per quale motivo il popolo aveva fuso l’immagine della dea Pjatnica con quella della dea Mokoš’. Anche quest’ultima infatti era una protettrice delle donne e delle filatrici, ed era sempre associata all’acqua (il suo nome infatti deriva da mokrij, umido). Lo stesso dicasi per dea Pjatnica, che si pregava per sollecitare la pioggia nel periodo della mietitura.
Il rito era affidato all’anziana del villaggio che andava nei campi, prendeva un covone, lo legava e restava lì in preghiera. Recitava le preghiere tre volte e chiedeva a Pjatnica di far arrivare la pioggia, di liberare il villaggio dalle malattie, di aiutare i poveri e sostenere i lavoratori. Il rito si concludeva con l’anziana che, senza farsi vedere da nessuno, portava il covone nella sua isbà. Incontrarla in quel frangente, era un cattivissimo segno!
Fonti:
Slovar’ slavjanskoj mifologij, Russkij Kupez, 1995
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