Madama Lucrezia: una delle statue parlanti che conquistò il cuore e la borsa del re di Napoli
Un dono del re Alfonso d’Aragona
Madama Lucrezia è una delle sei statue parlanti di Roma con una storia curiosissima e un forte legame con alcune divertenti tradizioni romane.
La statua di Madama Lucrezia si trova a Piazza San Marco, difronte al Campidoglio, in un angolo, all’esterno del Museo Nazionale del Palazzo Venezia.
Si tratta di un mezzo busto di donna, abbastanza sgraziato a dire il vero, di circa 3 metri risalente a epoca romana, il cui nome non ha alcun legame con l’identità del personaggio raffigurato. Il busto, forse, proveniva dal Tempio di Iside ed era il ritratto di Faustina.
L’origine del nome, in realtà, risale ad un dono fatto dal re di Napoli, Alfonso d’Aragona, alla bellissima nobildonna (e poi amante) Lucrezia d’Alagno. La scoperta è stata fatta dall’architetto e storico dell’arte Antonio Muñoz che, in un inventario di papa Paolo II (1417 -1471), trovò la seguente annotazione a proposito del busto: donatum Dominae Lucretiae cioè regalato alla signora Lucrezia. Il busto si trova a Roma perché la donna cadde in disgrazia dopo la morte del re e dovette trasferirsi nella Città Eterna a causa dell’astio dei figli e dei parenti di Alfonso d’Aragona.
Galeotto fu il corteo per la festa di Giovanni Battista a Napoli
La storia dei due amanti è molto particolare, incredibile e triste allo stesso tempo. I due si conobbero a Napoli il 23 giugno 1448 in occasione della festa di Giovanni Battista. L’usanza prevedeva che di giorno le donne andassero in giro a cercar marito con una pianta di orzo o di grano da offrire all’uomo scelto, se questo ricambiava, le donava qualcosa a sua volta; la sera poi si concludeva con un bagno a mare.
In quel giorno il re aprì il corteo dei festeggiamenti sempre molto amati dal popolo e particolarmente caotici e sfarzosi. Le strade brulicavano di gente. In quell’occasione la giovane e bellissima Lucrezia d’Alagno, di soli 18 anni, si avvicinò con gentilezza al re e gli porse in dono il suo vaso d’orzo. Alfonso d’Aragona rimase particolarmente impressionato dalla bellezza della giovane e ricambiò il suo gesto con un sacchetto di “alfonsini”, le monete in circolazione con il suo ritratto. La giovane e sveglia fanciulla, però, rifiutò, prendendo una sola moneta e specificando che le bastava “un solo Alfonsino”.
La risposta catturò così tanto il re che nei giorni a seguire raccolse informazioni sull’identità della giovane, venendo a sapere che faceva parte di una nobile famiglia di origine amalfitana. In men che non si dica i due diventarono amanti (lei aveva 18 anni e Alfonso 54!) e il loro amore fu fortissimo e celebrato dall’intera corte di Napoli con sonetti, poemi e racconti. Di Madama Lucrezia ne parlarono i cronisti del tempo, tra cui i famosissimi Loise De Rosa, Nicolò della Tuccia e Giovanni Pontano, così come Benedetto Crocequattrocento anni dopo.
Una regina senza corona esiliata a Roma
Madama Lucrezia era molto amata tanto dal popolo quanto dalla corte. Si raccontava che per poter avere una raccomandazione era preferibile rivolgersi a lei piuttosto che al re, perché aveva grande autorità (pur non essendo regina perché Alfonso era regolarmente sposato) oltre che una quantità smisurata di possedimenti. La giovane Lucrezia, infatti, non catturò solo il cuore di Alfonso ma anche la sua borsa. Il re le regalò giardini, possedimenti a Somma Vesuviana, Caiazzo, San Marzano e addirittura l’intera Isola d’Ischia con il Castello aragonese!
Dopo la morte di Alfonso d’Aragona, però, iniziarono per Lucrezia periodi davvero bui. Troppi privilegi attirarono le ostilità degli altri familiari, specialmente dell’erede al trono e del fratello del re. Il figlio illegittimo del re, una volta sul trono, le propose la morte o l’esilio in Puglia. Lucrezia rifiutò e si trasferì a Roma dalla sorella nel 1477. Era una donna particolarmente religiosa e una grande benefattrice. Morì in totale miseria alla soglia dei 50 anni, abbandonata da tutti, anche dai suoi familiari.
Madama Lucrezia: le statue parlanti e il Palio dei Disgraziati
Torniamo a Roma, perché si narra che nel lungo periodo di esilio nella Città Eterna, la giovane Lucrezia passeggiasse abitualmente accanto a questa statua, dono del suo amato Alfonso, in ricordo dei bei tempi. Per questo motivo il popolino soprannominò la statua Madama Lucrezia. Non si tratta di una leggenda in quanto, in realtà, il titolo di Madama era diffusissimo a Napoli ma non lo era affatto a Roma. Quindi il riferimento alla giovane amante napoletana del re è più che plausibile.
La statua divenne presto un punto di riferimento, entrando a far parte delle Pasquinate, le statue parlanti di Roma, e anche di una delle tradizioni popolari più amate, il Palio dei Disgraziati.
Il Palio dei Disgraziati era una festa molto in voga nell’Ottocento che si celebrava il 1 maggio. Era un ballo popolare che si faceva per strada e a cui partecipavano tutti, anche i “disgraziati” cioè gli storpi, i poveracci, i gobbi, i vecchi e i miserabili. Questi ultimi erano tutti oggetto di scherno a cui facevano da contraltare le bellissime popolane del rione Monti che si contendevano gli occhi dei presenti.
Questa festa è riportata nei ricordi di Giggi Zanasso (1860-1911), un famoso poeta in romanesco nella cui scuola si formò l’adorato Trilussa. Zanasso ricorda che la nonna gli parlava di questa amatissima festa detta in romanesco, er ballo de li guitti.
Nelle memorie della nonna, la festa si organizzava a Piazza San Marco, proprio davanti alla statua di Madama Lucrezia che per l’occasione veniva adornata di cipolle, nastri colorati, agli e carote.
Durante la festa si giocava a fare gli sposi e ogni uomo si cercava una donna. Una volta formatesi le coppie, prima di iniziare a ballare, da tradizione, si faceva un inchino davanti a Madama Lucrezia che in quell’occasione si trasformava in una sorta di sindaco, che sposava simbolicamente i due innamorati.
Al momento dell’apertura delle danze, accorreva tutta Roma per sbellicarsi dalle risate al momento del “salterello”, il ballo popolare più in voga del momento. Donne con le gambe a “ics”, vecchi bacucchi e sciancati facevano morire dal ridere a guardarli ballare (sigh!).
Per quanto riguarda, invece, l’appartenenza al gruppo delle statue parlanti, diciamo che Madama Lucrezia non fu particolarmente loquace. Si narra soltanto di due casi in cui i pizzini anonimi apparvero sulla statua.
Il primo bigliettino si palesò nel 1591 quando il papa Gregorio XIV, gravemente malato, si fece trasferire a Palazzo Venezia. Chiese la realizzazione di un alto steccato a protezione dei rumori che potevano peggiorare il suo stato di salute. Il papa morì ugualmente poco tempo dopo con grande stupore dei romani. Madama Lucrezia quel giorno sentenziò con un foglietto: la morte entrò attraverso i cancelli…
Il secondo, invece, fa riferimento al periodo della Repubblica del 1799, quando il popolo butto giù la statua, che cadde a faccia in giù rompendosi il naso. In quell’occasione, un bigliettino con su scritto Non ne posso veder più con allusione al governo vigente, apparve sul busto di Madama Lucrezia.
Oggi, Madama Lucrezia, una delle statue parlanti più note di Roma, è oggetto di selfie a qualsiasi ora. Non siate da meno, fatevi una passeggiata al Campidoglio e immortalatevi davanti al dono del re d’Aragona alla bella Lucrezia!
Fonti:
GIGGI ZANASSO, Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, Torino, 1908
Costumi e tradizioni popolari, Lazio, Umbria, Toscana, Bonechi, 1995
Le strade di Roma, Newton Compton Editori, 1987