Carta bianca

di Rossella Belardi

Mi chiamo Anna, ho trent’anni, e non ho niente da perdere.

“E’ positivo” potrebbe dire qualcuno, e invece no, perché in tutti questi anni mi sembra di non essere riuscita a combinare molto: quasi tutti i miei ex-compagni di scuola o sono fidanzati o sono sposati, hanno figli e una carriera.

Io invece ho una laurea, e basta. Il mio contratto è scaduto da un po’ e sono ancora alla ricerca di un impiego.

Di recente però le cose sono migliorate: una rivista ha accettato di pubblicare il mio articolo, a titolo gratuito, s’intende, ma ne è valsa la pena perché ho avuto l’opportunità di farmi conoscere e di rinnovare il mio curriculum. La rivista in questione è un magazine di letteratura e spettacolo che settimanalmente mi invia degli argomenti da sviluppare. L’ultimo incarico che la mia caporedattrice Elisa mi ha affidato consiste nell’intervistare un famoso scrittore, Moser, che vive in una piccola città in provincia di Bolzano, Laives.

“Moser è autore di diversi romanzi noir. Il suo ultimo libro, Sale, è ambientato proprio dalle mie parti, in Alto Adige” disse Elisa toccando convulsamente la pietra che aveva al collo.

“Hai una scaletta già pronta?” le chiesi.

“No, stavolta ti concedo carta bianca: lascialo parlare liberamente e ponigli le domande che ritieni più opportune. Mi fido!”

Elisa ha fissato l’incontro con Moser per domani pomeriggio. A causa della distanza e dei suoi impegni come giornalista ci vedremo in videoconferenza. 

L’unico problema è che non ho mai letto nulla di suo, così ho preso in prestito la sua ultima opera dalla biblioteca comunale e ho iniziato a leggerla. Devo ammetterlo: Sale è davvero coinvolgente, l’incipit è accattivante fin da subito. La storia si svolge in un piccolo paesino di montagna dove la comunità locale viene sconvolta dalla scomparsa di una ragazza di sedici anni, Anna Mair, poi ritrovata morta in una scarpata. Il libro è basato su di un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1993 e contiene un resoconto dettagliato degli eventi di quell’anno, delle testimonianze e degli articoli che Moser ha raccolto.

“La gente del posto di quella scomparsa non vuole parlare, sarebbe come buttare del sale su una ferita ancora aperta” mi spiega.

“E lei com’è riuscito a raccogliere così tante informazioni? Non ha incontrato ostilità?”

Moser mi sorride, abbassa lo sguardo. “Ne ho incontrata molta…le persone si chiudono a riccio  non appena si accenna a questa storia, ma non sono tutti così. Ho deciso di rilasciare questa intervista per raccontare la verità e riabilitare il nome di un innocente che è stato accusato ingiustamente.”

“Mi scusi, perché non ne parla alla polizia? Se un innocente sta scontando una pena per qualcosa che non ha commesso…”

“No” m’interrompe “Peter Rossi è morto, si è impiccato nella sua cella dopo la sentenza di condanna. E’ evidente che lei non ha letto il mio libro” disse con una punta d’ironia.

“Lo sto leggendo.”

“E dov’è arrivata?”

“Al capitolo 7, dove si parla dell’incriminazione di questo Peter Rossi. Era il professore di cui Anna era innamorata.”

“Sì. Le prove contro di lui erano consistenti, non schiaccianti ma sufficienti per arrestarlo. Purtroppo la polizia non cercò altri colpevoli e l’opinione pubblica finì per condannarlo: era visto come un giovane insegnante che si approfittava delle sue allieve. In realtà la sua condotta era sempre stata esemplare.

Anna, diamoci del tu. Leggi il libro fino alla fine. Ce la fai in due giorni?”

“Sì”.

“Bene. Dopodomani alle due ci ricolleghiamo e mi dici quali conclusioni ne hai tratto”.

Anna era un’ottima studentessa, bella e molto invidiata. Dalle indagini era emerso che i suoi genitori si stavano separando perché la madre aveva scoperto che il marito la tradiva con una ragazza di venticinque anni, Emma. Anche la moglie aveva da poco iniziato una relazione con un suo collega, Eric Hofer. Si diceva che Hofer fosse un uomo piacente e che rivolgesse le sue attenzioni a più di una donna contemporaneamente, alcune delle quali molto giovani.

“Lei dov’era martedì 16 novembre, tra le 15:00 e le 19:00?” chiese l’ispettore.

“Gliel’ho già detto”, rispose con stizza Hofer, “ero a lavoro, e Silvia può confermarlo.”

“Sì, la madre di Anna ha confermato che lei fino alle 15:00 è rimasto in ufficio, e che non si è allontanato nemmeno per la pausa pranzo. E dopo le tre? Dov’è andato?”

“Sono andato dai Kringe, in malga. Vado sempre lì quando sono nervoso.”

“E come mai era nervoso?”

“Non era un bel periodo con Silvia.”

“Sappiamo anche questo. Silvia credeva che lei avesse messo gli occhi addosso a sua figlia, non è così? E’ andato a prenderla a scuola e l’ha fatta salire in macchina. Anna non ha gradito le sue ‘attenzioni’ ed è scappata dall’auto. Lei l’ha rincorsa per il sentiero, avete litigato e poi, preso dalla rabbia, l’ha colpita e l’ha uccisa!”

“No!” E’ vero, mentre andavo alla malga l’ho incontrata e le ho offerto un passaggio a casa, ma mi ha detto che doveva incontrarsi con Lisa, la sua amica, così l’ho lasciata vicino al bosco e sono andato via.”.

La polizia aveva trovato lo zaino di Anna nella pineta, insieme a delle tracce di sangue sopra un sasso: probabilmente prima di cadere aveva lottato con qualcuno (aveva un livido sul viso e dei graffi sul collo); infine l’aggressore l’aveva colpita alla testa e l’aveva spinta di sotto. Era stato un ragazzo, l’amico di Anna, a trovare il suo corpo in fondo alla scarpata.

I Kringe confermarono l’alibi di Hofer: l’ora della morte era stimata tra le 17:00 e le 19:00 e lui non poteva essere l’omicida perché in quel lasso di tempo si trovava in malga.

Lisa raccontò che Anna non si era presentata all’appuntamento: le due ragazze erano solite incontrarsi dopo la scuola in una radura nel bosco, insieme ad un altro amico, Walter.

 “Rossi è un ottimo insegnante, a quanto mi dicono” esordì l’ispettore.

Lisa annuì.

“Avevano una relazione?”

“Anna era la più brava in italiano ed era la sua preferita…lei gli aveva scritto anche delle lettere d’amore”.

Le lettere furono ritrovate nella borsa del professore, senza firma, ma lui negò di averle mai viste.

Come mai un assassino dovrebbe conservare delle prove che potrebbero accusarlo?

L’ispettore interrogò anche Emma, l’amante del padre:

“Quel pomeriggio Anna si è presentata all’impianto sciistico dove lavoro. Insisteva perché lasciassi suo padre. Ha iniziato ad urlare davanti a tutti, e…lo ammetto, l’ho schiaffeggiata. Poi lei se n’è andata ed io sono rimasta nel gabbiotto fino alla chiusura.”

“ E lei ne ha parlato col signor Mair?”

“Sì, l’ho chiamato nella pausa pranzo e gli ho raccontato tutto.”

“Forse l’assassino è Mair, il padre di Anna” ipotizzai.

“No,dopo il lavoro è andato a casa della moglie: i vicini lo hanno visto scendere dall’auto che è rimasta parcheggiata nel vialetto fino alle otto. I due si vedevano di nascosto dai rispettivi compagni” disse Moser.

 “Perciò restano solo il professore e la madre, Silvia.”

“Dimentichi che anche Silvia ha un alibi: dopo aver finito il turno si è fermata ad un distributore alle 15:15 circa (il benzinaio lo ha confermato); poi è tornata a casa dalla figlia più piccola di dieci anni, e lì è rimasta fino alla sera come ha detto la baysitter.”

“E se si fosse allontanata?”

“Lo escludo, la ragazza se ne sarebbe accorta.”

“Anna portava sempre con sé un ciondolo, un cristallo di fluorite, un sale, e non se lo toglieva mai.

La madre ha detto che era un regalo di qualcuno, ma la figlia non le aveva voluto rivelare di chi fosse. Probabilmente chi l’ha uccisa l’ha portato con sé. Pensi che gliel’abbia regalato il professore?”

“No, qualcun altro che per lei era importante: Walter, il suo compagno di scuola.”

“Ho capito! Walter ha scoperto che Anna aveva un debole per il professore, i due hanno litigato e lui l’ha spinta nella scarpata”, dissi senza convinzione,“hai provato a parlare con questo Walter?”

“Anna, devo lasciarti. Stanno suonando alla porta. Ne riparliamo domani, va bene?”

L’indomani ricevetti una chiamata da Elisa, che era fuori Roma: “Anna, devo darti una brutta notizia: Moser è morto, assassinato. Pubblichiamo l’articolo così com’è.”

Moser ucciso, ma da chi?

Decisi di condurre qualche ricerca sul caso Mair. Sul gazzettino della piccola città, datato 1993, apparvero diversi articoli che ne parlavano, ed uno in particolare attirò la mia attenzione: riportava l’intervista ad un giovane sedicenne,  amico di Anna, Walter Moser!

Era Moser l’amico di Anna! Lui aveva ritrovato il cadavere! Aveva scoperto il colpevole ed era stato ammazzato. Quella notte non riuscii a prendere sonno: ripensavo al caso. E se Hofer avesse trovato il modo di uscire dalla malga senza farsi vedere? Avrebbe potuto uccidere Anna indisturbato.

No, era più probabile che fosse stato il padre. O forse…l’amica di Anna, Lisa!

Ecco la mia ipotesi: Lisa era gelosa di Anna, la preferita di Rossi. Le due ragazze litigano, Lisa lotta con Anna, la colpisce e le strappa via il ciondolo. Poi la ragazza cade giù. Lisa a quel punto scappa e poco dopo Walter scopre il corpo.

“Brutta storia…mi ricordo quando ne parlarono i giornali…”

Elisa scosse la testa mentre firmava il mio contratto di collaborazione.

“Grazie” risposi.

“Benvenuta in redazione: sei assunta!”

Presi il foglio e lo controllai, come facevo ogni volta che firmavo un documento, e fu allora che capii: la calligrafia non mi era nuova. Era la stessa delle foto nel libro di Moser, coincideva con quella delle lettere scritte a Rossi.

Alzai lo sguardo verso di lei: “ Com’è andato il tuo viaggio a Laives?”

“Come?”

Il sorriso scomparve dal suo volto.

“Sì, il tuo soggiorno a Laives, com’è andato? A proposito: mi piace molto il tuo ciondolo. E’ un cristallo di sale. Fluorite, giusto?”

Lisa non mi rispose.

Uscii dalla redazione e mi fermai al semaforo. Cos’avrei fatto? Licenziarmi appena assunta? Scesi le scale all’ingresso della stazione metro. Sentii dei passi dietro di me, poi…un dolore lancinante.

Ero stata colpita alle spalle.

“Signorina, come si sente? E’ in ospedale. Sa dirmi cos’è successo?”

“Hanno tentato di uccidermi.”

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