Stille di sale


di Gabriella Sardo
«Vorresti un figlio da me?»
Quella mattina Alfredo si svegliò rivolgendo a Bianca questa domanda, come fosse la prima volta
che l’idea prendesse forma dentro di lui. Ma Bianca non aveva nessuna intenzione di rispondergli.
Avevano litigato, sere prima, e lei era andata a letto senza di lui, senza la voglia di riconciliarsi.
Non era mai accaduto. Lei lo aspettava sempre sveglia, tutte le volte che litigavano, e poi, quando
lui arrivava a letto, lo avvolgeva in un abbraccio. Era il suo modo di chiedere scusa o di dirgli “Ti
perdono!”.
Quella volta, però, era stato diverso: si era sentita ferita, di più, lacerata. Aveva atteso, per mesi, che
il brutto momento passasse, che le cose si mettessero a posto. E mese dopo mese erano già trascorsi
quattro anni da quando avevano iniziato la loro relazione.
Il tempo non dava tempo e lui continuava ad ignorare quel desiderio di maternità fortemente
espressogli da Bianca. Lei non gli aveva mai taciuto il suo sogno. Gliene aveva parlato sin dal
primo incontro, senza alcun imbarazzo; voleva che lui lo sapesse “perché non le rimproverasse, un
giorno, di averlo irretito e messo in gabbia senza via d’uscita”. Sorrideva, mentre glielo diceva.
Ma Alfredo aveva pensato che quel bisogno di maternità le sarebbe passato – come fosse un
raffreddore di stagione –, una volta conosciuti i figli che lui aveva avuto da un’altra donna.
Non capiva – o fingeva di non capire – che Bianca voleva sentir crescere in grembo la S U A
creatura – che poi i figli non sono di nessuno e questo lei lo sapeva, ma non era quello il momento
di pensarci-; voleva avere la possibilità di accudire il proprio piccolo, cullarlo tra le sue braccia,
accompagnarlo nella sua crescita, sentirsi chiamare “mamma”. Un figlio, forse, le avrebbe dato
l’opportunità di rappacificarsi con il suo essere figlia, di diventare la madre che avrebbe desiderato
per sé.
Fu in un acceso confronto, quella sera, che lui aveva messo in chiaro le cose: “IO NON VOGLIO
ALTRI FIGLI!”. Con questa spietata affermazione aveva concluso il suo discorso. Erano sempre di
poche parole, le risposte di Alfredo, ma talvolta affilate.
Una sentenza che non ammetteva repliche. Aveva anche ribadito che lui l’aveva detto sin
dall’inizio. Perfetto! Erano stati chiari entrambi. E come era possibile che avevano “sin dall’inizio”
espresso idee così contrapposte e si erano abbandonati ugualmente ai loro sentimenti?
Pensavano davvero che l’uno si sarebbe ammorbidito o l’altra avrebbe desistito?
E così, si erano ritrovati a vivere sotto lo stesso tetto. Da tre anni. Ed erano arrivati a un bivio, ad un
aut aut che non prevedeva una terza via.
Quella mattina dunque Alfredo, dopo giorni di musi e di silenzi, aveva formulato la domanda come
fosse la prima volta, come se avesse preso coscienza solo allora di quello che da anni era un mantra
nella mente di Bianca.
Lei, però, non aveva alcuna voglia di rispondergli. Non lo sapeva già? Quale era il senso di quella
domanda? Era retorica, sì, e allora si desse una risposta da solo!
Eppure Alfredo sembrava essersi ammorbidito, voler abbandonare la posizione in cui si era
arroccato sere prima. Forse le lacrime di Bianca gli avevano toccato il cuore. Temeva che quello
potesse essere l’inizio della fine, che lei sarebbe tornata dalla sua famiglia – lasciata anni prima per
seguirlo.
Forse, si era detto, concederle una possibilità avrebbe rimesso le cose a posto. D’altronde, non vi
era nessuna certezza che la sua cellula gametica potesse fecondare un corpo che aveva già superato i
quaranta da qualche anno.
Alfredo amava sfoggiare di tanto in tanto, fuori dal suo ambiente di lavoro, il suo linguaggio da
informatore medico-scientifico, lo trovava chic! Lessico tecnico, puntale, come era lui nella vita.
E così, provò ad accarezzarla, ad attirarla a sé. E quegli abbracci e quelle carezze sciolsero le
resistenze di Bianca.
Ma la natura non si lascia piegare dalle preghiere né dal dolore.
A Bianca erano bastati 416 mesi sinodici (è questa l’espressione con cui viene indicato l’arco
temporale di circa 29 giorni in cui la luna ripete le sue fasi e a cui è legato il ciclo femminile) per
mettere fine alla sua vita da donna. Così si era ferocemente espresso il medico a cui si era rivolta:
“Signora, lei è in menopausa!”
Nessun giro di parole, nessun preambolo per mitigare quel tragico responso. Nessuna pietà.
Beh, la medicina è scienza, non “Favole al telefono”! Non erano i racconti di Rodari che tanto
aveva amato da bambina e tanto amava leggere ai suoi piccoli della primaria. Dopo anni di
precariato, finalmente, Bianca era riuscita ad ottenere il suo posto di ruolo nel bel capoluogo siculo.
Non si gira intorno alle cose: bisogna essere ONESTI. Questa era la scuola di pensiero del medico:
anche la madre di lui, disse il dottore, aveva preso coscienza della sua “vecchiaia”, appena entrata
in quella fase che Bianca non riusciva ancora a pronunciare.
“Eh sì, signora mia!” Chissà perché quel possessivo, se quell’uomo era incapace di empatia?
“La M E N O P A U S A – sembrava provarci gusto a scandire quella parola mortifera – porta con
sé una serie di problematiche…” Ma Bianca non stava più a sentirlo. Le orecchie le ronzavano, la
testa vorticava e doveva ingoiare quel nodo che non le lasciava passare il respiro, inghiottire tutte le
lacrime che spingevano per venir fuori.
Non gliel’avrebbe data la soddisfazione a quel MOSTRO! Ma quale corso di studi lo aveva reso
quell’essere ripugnante senz’anima? Da quale scuola era uscito quell’abominevole Yeti dell’ordine
dei ginecologi? Quale giuramento di Ippocrate lo aveva consacrato all’arte eccelsa della Medicina?
Bianca aveva preso la sua borsa, mentre lui ancora sciorinava il suo sapere, e senza neanche
salutare, si era diretta verso l’uscita per andare a riprendere il tram che l’avrebbe riportata a casa.
Non c’era da pagare: doveva solo ritirare il referto delle analisi.
Non sentiva il mezzo sferragliare, ma fluttuare sul binario unico della rete tramviaria da poco
inaugurata.
Con la testa poggiata sul finestrino della carrozza, Bianca provava a contenere il pianto, ma riusciva
solo a trattenere i singhiozzi. Un uomo, sui sessanta, le sedeva di fronte. La osservava con
discrezione, comprendeva forse il suo dolore. E distoglieva lo sguardo, rivolgendolo altrove.
Arrivata a casa, rimase al buio, con il referto della sua “vecchiaia” tra le mani, tremanti come il
resto del suo corpo. Stette così, paralizzata e in lacrime, fino all’arrivo di Alfredo.
Non immaginava di trovarla al buio. Non si aspettava di dover raccogliere i suoi resti.
Quel pomeriggio, avrebbe dovuto accompagnarla lui dal ginecologo. Glielo aveva chiesto lei
espressamente, perché aveva quasi il sentore di una sentenza di morte. Lo avvertiva dentro di sé,
non aveva dubbi, solo una speranza. E avrebbe voluto le sue braccia a sostenerla, la sua forza, il suo
conforto. Ma impegni improrogabili di lavoro lo avevano costretto ad un cambio di programma:
“Potresti andare da sola?” le aveva detto qualche giorno prima.
“Se proprio non puoi accompagnarmi, andrò da sola” gli aveva risposto a malincuore Bianca.
E adesso era lì, seduta, illuminata appena dalle luci che filtravano da fuori.
Le si avvicinò, chiedendole cosa fosse successo. E l’abbracciò.
Ma lei non riusciva a parlare e tra i singhiozzi balbettava soltanto che lo odiava, che era colpa sua,
che aveva aspettato troppo, che non c’era più nulla da fare.
Rimasero così a lungo. Allora Alfredo si era reso conto che quella ferita non si sarebbe più
rimarginata.
Non trovava le parole che avrebbero potuto darle un conforto. Cosa dire? Torniamo indietro?
Nella sua mente risuonava la voce di Battiato:
Se penso a come ho speso male il mio tempo
che non tornerà, non ritornerà più…
Ne abbiamo avute di occasioni
perdendole, non rimpiangerle, non rimpiangerle mai…
Era il suo modo di reagire, quando si trovava in difficoltà: canticchiava, in silenzio, per allontanare i
suoi fantasmi o il suo senso di impotenza.
Attese mezz’ora che Bianca si acquietasse. Poi le disse: “Tra poco vado a prendere Federico”. Era
venerdì, era il fine settimana utile per poter stare con suo figlio, il piccolo, quello che ancora voleva
trascorrere del tempo con suo padre.
Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
Bianca, con una forza che veniva dai precordi, si ricompose e, senza dire una parola, andò in
camera: aprì l’armadio, scelse il pantalone nero, semplice ma elegante, quello che tanto le piaceva
indossare per la vestibilità che esaltava le sue forme, senza eccessi; una maglia sagomata ma sobria,
un trucco leggero per nascondere i segni del suo pianto. Riprese la borsa che aveva lasciato in giro
senza curarsi di cambiarla. Afferrò le chiavi e mentre usciva gli disse: “Salutami Federico”.
Non si sentiva di assistere a tutte le smancerie, le coccole, i risolini, gli abbracci che era abituata a
vedere. Non avrebbe retto, quella sera. Meglio filarsela e ripiegare su una serata tra colleghi a cui
aveva deciso di non partecipare.
La sua fu una presenza smagata; si limitò a sentire senza ascoltare, a sorridere dietro i sorrisi degli
altri. Ma fu per lei un balsamo. All’uscita, volle proseguire verso il mare, lasciarsi accarezzare dal
suo profumo. E sulle note di De André, attraversò la città quasi deserta.
Raggiunse la Cala, il porticciolo turistico dentro il centro storico, e rimase in macchina a guardare le
imbarcazioni ormeggiate. Abbassò il finestrino. Non si guardò indietro. Ingoiò le sue lacrime di
sale. Poi, chiuse gli occhi e ascoltò il suo respiro.
35 Comments
Tutta colpa di Alfredo…
Luglio 25, 2020 - 10:12 amUn testo diretto ma delicato e profondo, che mette a nudo le tante sfumature dell’amore che non sempre è capace di rischio, di rinunciare alle apparenti rassicuranti vite costruite sull’egoismo.
Luglio 25, 2020 - 11:25 amBrava Gabry!
Luglio 25, 2020 - 11:37 amBellissimo racconto, denso di significato, a tratti struggente
Luglio 25, 2020 - 12:10 pmmi piace
Luglio 25, 2020 - 12:32 pmRacconto stupendo anche se un po triste
Luglio 25, 2020 - 12:44 pmmi è piaciuto molto.
Luglio 25, 2020 - 12:44 pmDelicatamente struggente.
Luglio 25, 2020 - 12:53 pmCoinvolgente. Descrive efficacemente i sentimenti e gli stati d’animo di una donna ferita dall’inesorabile trascorrere del tempo innanzitutto, ma anche dal suo uomo, appagato come tale e come padre. Ottima l’introspezione e fluido il racconto. Bello!
Luglio 25, 2020 - 1:19 pmBellissima storia raccontata in modo meraviglioso. Complimenti Gabriella👏👏👏😘
Luglio 25, 2020 - 1:57 pmL’altruismo delle donne spesso e volentieri porta a rinunciare a qualcosa …. Ancora oggi siamo subordinate al volere … alle tendenze…alle priorità degli altri …Una donna … Una mamma… viene sempre dopo gli altri…. Punto… Ancora oggi.
Luglio 25, 2020 - 2:07 pmIl dolore di una donna è abituato a soffocarsi da sé e, raccontarlo, diventa un manifesto di dignità.
Luglio 25, 2020 - 2:17 pmCoinvolgente
Luglio 25, 2020 - 2:32 pmUno spaccato di vita …scritto in modo scorrevole ed elegante…
Luglio 25, 2020 - 3:21 pmTi prende totalmente dalla prima all’ultima frase. Uno stile fluido e coerente, una scrittura snella e curata nei minimi dettagli. 10.000 parole calibrate perfettamente con le note più alte del cuore e i vuoti più profondi drll’animo umano. Nè vinti nè vincitori, nè innocenti nè colpevoli. Solo la vita e la necessità di fluire per riuscire a ” vivere”.
Luglio 25, 2020 - 4:28 pmComplimenti Gabriella, è un piacere
Luglio 25, 2020 - 6:10 pmÈ una creatura…questo testo! Concepimento, gestazione e parto! Con una resa encomiabile che rende tutto senza sacrificare nulla, in un movimento di parole che è dono da condividere. E Bianca alla fine non piange ma ingoia le sue lacrime di sale, proprio come ogni donna, che culla il suo intimo dolore, sa fare. Bellissima immagine, frutto di una raffinata ricerca, figlia di una squisita sensibilità materna.
Luglio 25, 2020 - 7:13 pmMi piace. Le donne sono sempre pronte ad iniziare nuovi capitoli di vita 😘
Luglio 25, 2020 - 10:00 pmUn racconto che racconta un dolore…come dice la Cantantessa in una sua bellissima canzone che parla di donne e della forza di certe scelte “persino il dolore più atroce, si addomestica”.
Luglio 25, 2020 - 10:04 pmMi sono sentita coinvolta, perché anch’io ho vissuto questa esperienza… rassegnata a “quel” punto ineluttabile in cui, nella vita, rinunci per sempre al desiderio di diventar madre!
Luglio 26, 2020 - 6:52 amComplimenti alla mia amica. Sempre molto brava
Luglio 26, 2020 - 7:37 amMolto toccante, complimenti!!
Luglio 26, 2020 - 8:30 amDelicato e intenso, frutto di un animo sensibile e capace di “forte sentire”. Una maternità negata che si palesa in un’altra forma, quella eterna della scrittura, il cui travaglio, espresso in modo nitido ed incisivo riscatta la nascita fisica e la sublima in una nascita universale che fa vibrare le pieghe più intime dell’animo umano
Luglio 26, 2020 - 8:47 amMi piace, davvero molto forte e coinvolgente! Tralaltro molto fluido da leggere, un piccolo capolavoro!
Luglio 26, 2020 - 10:03 amImpetuosamente delicato. È sempre un piacere leggerti🌸🍀
Luglio 26, 2020 - 10:17 amMi piace
Luglio 26, 2020 - 10:37 amRispecchia la realtà di molte donne che pensano di fare cambiare il pensiero del partner , quando invece dovrebbero perseguire i propri pensieri e desideri . Fa riflettere!
Luglio 26, 2020 - 11:14 amCoinvolgente,brava Gabriella
Luglio 26, 2020 - 12:36 pmStruggente e delicato. Bellissima l’immagine finale. Davvero complimenti, Gabriella.
Luglio 26, 2020 - 1:48 pmDavvero molto bello, delicato e toccante. Complimenti
Luglio 26, 2020 - 3:21 pmDelicato e struggente . Mette a nudo un dolore profondo con eleganza e garbo. Brava !
Luglio 26, 2020 - 8:52 pmDolce e amaro… Come la vita!
Luglio 28, 2020 - 2:08 pmIl racconto è struggente, la scrittura, nella sua armonica architettura, coinvolge attivamente il lettore. Sembra di assistere ad una gestazione faticosa di parole che emettono finalmente la voce d’un silenzio a lungo custodito, nella profondità dibattuto e combattuto. Emozioni forti, sovente taciute, erompono in lacrime dense di amarezza, in “Stille di sale”, come recita il titolo. Bianca è una donna risoluta, combatte contro se stessa ma poi si decide a dare un nome al suo segreto e, in modo delicato e rispettoso, grida coraggiosa la frustrante amarezza del non detto. Il finale non può che tradursi in un bagno dove finiscono per naufragare i sogni infranti e ormai dispersi – né più amari – di una desiderata maternità. Il sale lava la ferita, il sale sana il futuro di Bianca, il sale guarisce una donna intimamente madre dal suo male di vivere.
Luglio 28, 2020 - 3:34 pmUn racconto bellissimo e intenso. Il tuo talento è palese! Non vedo l’ora di leggerne altri!
Luglio 28, 2020 - 6:13 pmMi piace, racconto profondo e toccante.
Agosto 1, 2020 - 9:44 pm