L’addio a Saint-Kilda di Éric Bulliard


Si tratta di una storia vera, che ha dell’incredibile. Éric Bulliard ci racconta di una comunità che non conosceva la scrittura, il denaro e le leggi e che nel 1930 chiese di essere evacuata perchè stava morendo di fame
“Non è più possibile”
L’addio a Saint-Kilda di Éric Bulliard edito da 21lettere è un libro straordinario, nel quale la storia eccezionale di una comunità rivive attraverso gli occhi appassionati di Éric Bulliard. L’autore, con grandissima empatia, ricostruisce gioie, dolori e miserie di una comunità abbandonata da Dio e dagli uomini fino al 1930.

“Non è più possibile”. Non è più possibile per questa gente di Saint-Kilda, un arcipelago della Scozia, oggi patrimonio UNESCO come sito naturale e storico, continuare a vivere lì. Stanno morendo di fame. Su uno degli isolotti più grandi, Hirta, vive, forse fin dalla preistoria, una popolazione di non più di 150 anime.
Siamo nel 1930 e non ci sono più uomini a prendersi cura della comunità. Sì, perché qui, gli uomini e gli adolescenti, vanno a pesca e a caccia e portano da mangiare per tutte le donne, i bambini e gli anziani della comunità. E’ un’unica famiglia. Se non mangia uno, non mangia nessuno. Ora sono rimasti in 36, in un luogo dove la natura è spietata. Questo è il regno di venti che si portano via le pecore e di piogge torrenziali che non danno tregua. Come si è arrivati a 36 persone soltanto?
La storia-reportage di Éric Bulliard inizia dalla fine, quando nel 1930, tramite alcuni intermediari, gli ultimi abitanti di Hirta chiedono al Segretario di Stato per la Scozia di aiutarli a lasciare l’isola. “Non è più possibile vivere lì. Stanno morendo tutti.
Éric Bulliard
Éric Bulliard, critico letterario e giornalista, resta letteralmente folgorato dalla storia degli abitanti di Saint-Kilda, che apprende durante un viaggio in Scozia nel 2012, come mi ha raccontato lui stesso nell’intervista di qualche mese fa. Poche fotografie sbiadite in una mostra hanno catturato la sua attenzione. Alcuni volti accigliati, fissi verso l’obiettivo gli hanno rapito l’anima. Inizia così un viaggio personale alla ricerca di informazioni sulla vita di questi abitanti che non conoscono il denaro, le armi, le leggi, la scrittura e che parlano il gaelico. A poco a poco, la ricerca di Bulliard si trasforma nella necessità impellente di raccontare al mondo la loro storia, ma con occhi diversi. I loro.

Ed Éric Bulliard lo fa in modo eccezionale. Il suo romanzo-reportage è scritto in un linguaggio unico, che arriva al cuore del lettore grazie anche all’abilità del traduttore Dylan Rocknroll. Éric Bulliard è entrato in quei corpi, ne ha percepito le sofferenze, i dubbi e i timori con grande onestà e rispetto; ne ha raccontato usi e costumi, avventure e sventure. Il libro è unico nel suo genere e non è un caso che gli sia valso i premi letterari Edouard Rod (2017), SPG (2018) e quello della Fondazione Régis de Courten nel 2019.
L’addio a Saint-Kilda di Éric Bulliard
Nessuno è mai morto di fame su Hirta. Da generazioni viviamo di caccia, e gli uccelli ci hanno sempre sfamato. Il clima è duro, è vero. Cacciare è difficile, è vero. Qui la vita è sacrificata, è vero. Ma come ce l’hanno fatta i nostri antenati, così dobbiamo farcela noi. Perché dobbiamo abbandonare Hirta? Siamo vigliacchi? Ci stiamo arrendendo? I nostri antenati non ce lo perdonerebbero mai…
E’ così che Éric Bulliard interpreta lo stato d’animo degli abitanti di Hirta . Ci arriva raccogliendo testimonianze (il postino, l’infermiera e il pastore della comunità di Hirta), racconti, documenti storici e di archivio. Ormai è chiaro anche a loro che sull’isola non si può più vivere, ma hanno difficoltà ad ammetterlo. Sono rimasti in 36. La popolazione è stata decimata dalle malattie e dalla miseria.

In L‘addio a Saint-Kilda, Éric Bulliard racconta vita, morte e miracoli di una comunità che aveva visto altri esseri umani per la prima volta solo nel 1697, che le uniche fonti di sostentamento erano la caccia agli uccelli e un po’ di allevamento e che le sole occupazioni consistevano nella filatura e l’essicazione della torba.
Poi arriva la contaminazione. L’arcipelago e i suoi abitanti iniziano ad incuriosire il mondo civilizzato e così intorno al ‘700, i sankildiani scoprono che esiste anche un altro mondo, diverso dal loro. Arrivano i turisti, si scambiano le merci. Circolano storie e racconti. La fantasia dei giovani sankildiani si accende. Vengono contagiati dalla febbre dell’oro, e alcuni di essi partono per una terra chiamata Australia, con l’intento di cambiare la loro vita, una vita piatta, fatta di sudore, fame, sacrifici, vento e pioggia. Scopriranno il danaro, le città, i treni e…le malattie.
Nove mesi in mezzo al nulla
Uno dei capitoli più belli e tragici di L’addio a Saint-Kildaedito di Éric Bulliard è il quinto. Éric Bulliard è stato in grado di farci rivivere con la sua immaginazione un momento drammatico per gli abitanti di Hirta. L’episodio che l’autore racconta è triste e commovente. La dignità che trasuda tra gli sguardi fieri e spaesati di un manipolo di eletti che resiste a denti stretti su una porzione di roccia scivolosa per nove mesi, è, a mio avviso, una delle immagini più belle del libro.
Nell’agosto del 1727, tre uomini e otto bambini vivono per nove mesi appesi ad una roccia. Il “Parlamento” del villaggio sceglie un gruppetto di uomini forti e alcuni ragazzini a cui affida un compito di grande valore, che si ripete da generazioni. Andare verso Stac an Armin, una piccola isola di fronte ad Hirta, per cacciare procellarie e garantire la sussistenza della comunità per i mesi più difficili dell’anno. La missione, da decenni, dura solo 10 giorni. Questa volta però, qualcosa va storto.
11 persone restano nove mesi all’intemperie, appese ad una roccia ricoperta di pennuti e guano, in piedi, con i gomiti beccati dagli uccelli, senza vestiti asciutti e senza riparo. La barca che doveva riprenderli non si è fatta viva. Le tempeste dei mesi invernali non le hanno permesso di affrontare il mare. E intanto la comunità inizia a morire di fame e di malattie. Hirta verrà decimata. Sopravvivono 1 adulto e 18 bambini. Li scopre la barca che una volta all’anno va a portare viveri alla comunità e a riscuotere il dovuto dagli abitanti. Saranno loro che andranno a recuperare gli 11 uomini sulla roccia.

L’Australia
Col tempo Hirta si ripopola, ma a distanza di trent’anni, una nuova disgrazia si abbatte sull’isola: l’Australia. Ci si invaghisce di questo posto lontano, si fantastica su un futuro diverso e circa un terzo dei suoi abitanti abbandona l’isola per una nuova avventura. Ma solo 17 vedranno l’Australia. Gli altri moriranno durante il viaggio, tra sporcizia e malattie sconosciute.
Splendide sono le storie di alcuni abitanti di Hitra che Éric Bulliard ricostruisce. Restano nel cuore quelle di Calum, Malcom e Neil. Bellissima e appassionante quella di Gilles.
Poi, nel 1930 tutto finisce. I pochi sankildiani racimolano le quattro cose che hanno, quelle poche pecore rinseccolite sopravvissute e si preparano per la partenza:
A cosa pensavano, quell’ultimo giorno, quando anche loro camminavano in fila per l’ultima volta passo dopo passo verso la baia, riprendendo quel cammino della chiesa percorso ogni settimana, da decine di anni, ma che, quella volta, quella unica volta, non risaliranno? Li vedo silenziosi, leggermente piegati sotto il peso degli ultimi bagagli che non hanno ancora imbarcato sulla Dunara Castle. La testa piena di pensieri, di sogni, di ricordi senz’altro, di rimorsi. Gli sguardi persi, silenziosi, ne sono quasi sicuro
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