Dialoghi nella narrativa: il segreto è nell’onestà
Quali sono gli errori più comuni dei dialoghi nella narrativa? Come riconoscerli e cosa migliorare. Ne parliamo a Sviscerandoconlautore con Marylin Santaniello
L’ospite di oggi: Marylin Santaniello
I Dialoghi nella narrativa sono un’arte come dice Stephen King oltre che un mestiere. E’ un’arte perché non è sempre facile dare la voce giusta ai propri personaggi, però, è fondamentale per definirne le caratteristiche. Mi piace molto come il genio dell’horror approccia la questione. Poiché i dialoghi sono molto complicati da mettere giù per una serie di caratteristiche indispensabili che devono avere, oggi ho il piacere di parlarne con Marylin Santaniello, fondatrice dell’Agenzia letteraria Sopralerighe, che certamente darà alcune utili indicazioni agli scrittori emergenti.
Torno a Stephen King che a proposito del tema di oggi dice:
Un dialogo ben strutturato vi indicherà se un personaggio è intelligente o stupido, onesto o disonesto, spumeggiante o lagnoso”. Ad esempio, “il vecchio Butts non è necessariamente un cretino perché non riesce a pronunciare “appetito”.
Questo cosa significa? significa che un dialogo ben scritto ci farà capire attraverso magari anche i gesti e le azioni di Butts che non è affatto stupido ma che sotto c’è dell’altro. In questo modo stuzzicherete la curiosità del lettore a cui darete, attraverso i dialoghi, piccole briciole di “non detto” che con poche e giuste battute saranno più esaustive di mille parole.
Introduco adesso la nostra nuova ospite Marylin Santaniello che, ricordo è fondatrice dell’Agenzia letteraria Sopralerighe con la quale discuteremo di alcuni aspetti che riguardano i dialoghi. In realtà, ci tengo a specificare che Marylin non è proprio nuova qui a Sviscerando con l’autore perché l’anno scorso l’ abbiamo intervistata in merito ad un altro argomento molto interessante “cosa fare prima della pubblicazione” che vi invito ad ascoltare nel caso l’abbiate perso.
Ricordo che l’agenzia Sopralerighe di Marylin Santaniello guida lo scrittore emergente ed esordiente attraverso tutte le fasi fino alla pubblicazione del libro, quindi la valutazione del testo, l’editing puro, la scelta dell’editore e la promozione dopo la pubblicazione.
Allora, chiedo a Marylin a proposito dell’affermazione di Stephen King:
Qual è l’errore maggiore che riscontri in fase di editing in merito ai dialoghi quando gli scrittori sottopongono alla tua Agenzia un testo da controllare per la pubblicazione.
Sicuramente sono tanti gli errori che si commettono a livello dei dialoghi,e, facendo un passo indietro mi viene da dire che non è questa una causa quanto una conseguenza. La causa a cui tutto questo è ascrivibile ha solo un nome: mancata strutturazione della trama. In questo caso o la trama non è stata proprio stesa o non è stato fatto questo lavoro in maniera sbagliata, perché nel momento in cui uno scrittore esordiente o emergente si impegna a strutturare le varie fasi di una trama o prima ancora di scrivere, sicuramente si eviteranno tantissimi errori anche sui dialoghi. Quando sia chiaro qual è il punto di vista che si vuole adottare, qual è la tipologia di narratore al quale si vuole far raccontare la storia, quali sono i personaggi, cosa li distingue, allora non ci troveremmo ad esempio quei dialoghi fastidiosi monoblocco, dove c’è un personaggio che parla tanto senza mai essere interrotto. Questo è il primo errore importante.
Un altro errore che si commette quando, appunto, non si è fatto bene il lavoro di stesura della trama, sono i dialoghi senza personalizzazione, dove un personaggio parla nello stesso identico modo di un altro e di tutti gli altri. Poi, ad esempio, un altro errore sono i dialoghi decontestualizzati, che non si adattano al contesto, dove vediamo che un personaggio si esprime nello stesso identico modo, sia in un contesto formale che informale.
Un altro errore sono i dialoghi, come dico sempre io, non finalizzati alle azioni, dove sembra che due personaggi parlino, senza, però, arrivare ad una conclusione in termini proprio di “azioni”.
Prendete nota quindi degli spunti di Marylin e rileggete i vostri dialoghi alla luce di quanto appena individuato dalla nostra ospite per migliorare i vostri dialoghi.
Mi piace molto anche un altro passo del libro di Stephen King, On writing, perché affronta un aspetto che è comune anche ad un’altra forma d’arte, il disegno. Per disegnare bene oltre ad allenare la mano bisogna allenare anche la vista. Osservare bene i dettagli di tutto ciò che ci circonda e allenare il nostro cervello a farlo, è di fondamentale importanza così come nella scrittura. Stephen King, infatti continua dicendo:
[…] con la debita pratica alle spalle, eccellerà nei dialoghi chi si intrattiene volentieri a parlare ma soprattutto ad ascoltare, cogliendo l’accento, il ritmo, il dialetto e il gergo degli interlocutori […].
Chiedo a Marylin se questo è un consiglio che dà agli scrittori e se ce ne sono altri che fornisci quando capisci che i dialoghi non sono di effetto o funzionali all’azione o alla storia.
Sono d’accordo con il maestro Stephen King, più che altro non penso, in generale, che ci sia una ricetta per scrivere bene, quanto ci sia quella per scrivere male, paradossalmente, perché é più facile scrivere male che scrivere bene. In ogni caso più che sulla parte estetica del dialogo, quindi il suono e tutto ciò che può competer a questa parte, io mi soffermo sempre a consigliare agli scrittori di stendere nella maniera più giusta possibile la trama. Nel momento in cui si sa chi è il narratore, che punto di vista si vuole adottare per il proprio testo, chi sono i personaggi, come sono, come si è lavorato alla loro struttura, come si sono identificati, com’è il loro vissuto, allora è tutto molto più semplice, perché si ristabiliscono le posizioni e si conoscono le informazioni necessarie per strutturare bene uno scritto. E dunque, quando si è fatto tutto questo, i dialoghi scorrono molto più semplici come per magia; è come se fosse magia, ma in realtà è frutto di un lavoro che è molto importante, perché nel momento in cui si sono caratterizzati bene i personaggi allora si esce a capire come tizio deve parlare, come caio deve parlare e perché. E la stessa cosa è in fase di strutturazione della trama, in quanto storia e personaggi sono l’uno lo specchio dell’altra, e quando si conosce questo si sa molto bene quali azioni devono essere funzionali ai dialoghi e viceversa.
I Dialoghi nella narrativa: il segreto è nell’onestà
Il titolo del podcast di oggi parla di onestà, perché questo è un aspetto cruciale che vale la pena di affrontare in quanto, come dice anche Stephen King, “Come tutti gli aspetti della narrativa, pure qui il segreto sta nell’onestà. Se non mentirete su ciò che esce di bocca ai vostri personaggi, scoprirete di esservi esposti a una sfilza di critiche. Non passa settimana senza che mi arrivino una o più lettere imbufalite, dove mi si accusa di essere scurrile, razzista, omofobo, violento, superficiale o totalmente squilibrato. Nella stragrande maggioranza dei casi, queste incazzature sono legate al contenuto dei dialoghi: “leviamo il culo da qui”, “dalle nostre parti non facciamo comunella con i negri” o “che cazzo credi di combinare, brutta checca?”.
Come avete potuto capire, il tema che avanza il maestro dell’horror è nodale, perché fa riferimento a quello che più di una volta ho citato nel corso dei podcast di “Sviscerando con l’autore, cioè il patto di onestà con il lettore.
Ovviamente, Stephen King nel momento in cui riporta questi dialoghi scurrili in realtà non sta facendo della morale e neppure ci sta dando il suo punto di vista. I dialoghi nella narrativa non sono lo specchio di ciò che pensa lo scrittore ma di come agiscono e pensano i suoi personaggi. Se i suoi personaggi sono razzisti, Stephen King lo esternerà attraverso i dialoghi e un determinato tipo di linguaggio. Su quest’ultimo aspetto ci soffermiamo un po’ di più perché lo scrittore americano ci fa un altro esempio chiarificatore che fuga a mio avviso ogni dubbio:
[…] I Garanti della Morale potranno pure dei detestare il verbo “cagare”, e magari lo stesso vale per voi, ma in alcune circostanze bisogna rassegnarsi: nessun bimbo è mai corso dalla mamma urlando che la sorellina ha “defecato” nella vasca da bagno, magari azzarderà si è liberato, ha fatto un bisognino ma temo che ha cagato sia un’approssimazione adeguata. I bambini saranno piccoli, ma hanno le orecchie lunghe. Dovete essere sinceri fino al punto di riportare quello che si esclama quando ci si sferra una martellata sul pollice, se volete che il vostro dialogo goda delle sfumature e del realismo che purtroppo latitano […].
Mi fa sempre ridere questo stralcio, perché in effetti io non metterei mai in un dialogo in bocca ad un bambino “mamma la sorellina si è liberata”; non lo trovo affatto realistico così come non trovo realistico il fatto che il bambino dica alla mamma “la sorellina ha cagato”. Forse per i bambini di Stephen King è normale parlare così perché li ha educati in questo modo, ma in genere, nelle famiglie normali o bene educate sicuramente sentirete dire semplicemente “ mamma, la sorellina fatto cacca o pupù!”.
I Dialoghi nella narrativa: quando non funzionano
Fatta questa breve parentesi, andiamo oltre perché voglio introdurre alcune considerazioni di Anne Lamott, docente di scrittura creativa, che si sofferma molto sulla potenza evocativa del dialogo nella narrativa a tal punto da dire che “Oggi uno scambio di battute ben costruito può rendere l’azione così incalzante dal lasciarvi con il fiato sospeso” e poco più oltre : “un bel dialogo racchiude sia quel che è detto, sia quel che non è detto”.
E per fare questo è importante entrare nella testa dei personaggi cercando di esternare al lettore ciò che li disturba, gli attacchi di ira, la suscettibilità e tanto altro, fate capire attraverso i dialoghi dei vostri personaggi che persona il lettore si trova di fronte. Non raccontate che carattere hanno, fatelo attraverso i dialoghi. Se Adam ad esempio è irascibile, fateglielo dire alla moglie in un paio di battute oppure fate reagire Adam verbalmente a una provocazione. In questo modo date al lettore tutte le informazioni per capire che tipo di persona è Adam, cioè una persona che perde facilmente le staffe.
C’è un ultimo aspetto interessante che Anne Lamott nel suo libro Scrivere sottolinea: i dialoghi in dialetto sono molto faticosi da leggere.
Chiedo a Marylin cosa ne pensa. Marylin concordi con quest’affermazione?
Sì, assolutamente sono d’accordo con questa affermazione di Anne Lamott, tra l’altro, il dialetto può essere facilmente comprensibile, perché, di solito, viene espresso, cioè ogni parola in dialetto viene evidenziata in corsivo e il riferimento viene espresso nelle note a piè di pagina. Però, ecco, è anche questo è molto faticoso, cioè, è faticoso il fatto di dover interrompere continuamente la lettura per poter andare a sbirciare e far calare l’occhio proprio in quella direzione e capire il significato.
Il consiglio che io do spesso è di astenersi completamente dal diletto, salvo casi eccezionali in cui si scrive proprio un libro incentrato su una particolare cultura o in una particolare cittadina. Lì è d’obbligo. Esprimersi comunque in italiano facilita sicuramente la lettura a chiunque, anche, ad esempio, a uno straniero che, in questo caso, non ha la padronanza corretta della lingua madre, e sarebbe impossibile per lui conoscere il dialetto di una determinata zona.
E’ sempre vero che il dialogo è il modo migliore per comunicare con i lettori?
Prima di passare l’ultima volta la parola a Marylin che ci racconterà un po’ che cosa fa in linea generale la sua Agenzia Sopralerighe, vorrei chiudere il podcast di oggi con una considerazione che va un po’ a smontare tutto quello che abbiamo detto fino a questo momento sui dialoghi nella narrativa.
Vi riporto una considerazione molto interessante presa dal testo Come funzionano i romanzi di James Wood nel quale l’autore dice che la considerazione secondo cui il dialogo è il modo migliore per comunicare con i propri lettori, in realtà non necessariamente sempre così. Si può comunicare altrettanto senza che nessuno parli. Per chiarirci il concetto, James Wood riprende uno stralcio del romanzo di V.S. Naipaul, Una casa per Mr. Biswas.
[…]È Natale e Biswas, obbedendo a una specie di capriccio, decide di comprare per la figlia una “casa di bambola” che costa una cifra spropositata. Non potrebbe permettersela. Se ne andrà via quello che guadagna in un mese. È un episodio di follia e spavalderia, di ambizione e bramosia e umiliazione. […]
Ne leggo un piccolo estratto per farvi capire cosa ci vuole comunicare James Wood:
[…]“Smontò dalla bicicletta e l’appoggiò al cordone del marciapiede. Prima che si fosse tolto le mollette dai pantaloni fu abbordato da un bottegaio dalle labbra tumide che si succhiava ripetutamente i denti. Il bottegaio offrì al signor Biswas una sigaretta e gliela accese. Si scambiarono qualche parola. Poi, col braccio del bottegaio sulle spalle, il signor Biswas scomparve nel negozio. Non molti minuti dopo il signor Biswas e il bottegaio riapparvero. Fumavano tutti e due, e sembravano molto allegri. Un ragazzo uscì dalla bottega parzialmente nascosto dalla grande casa di bambola che portava. La casa di bambola fu piazzata sul manubrio della bicicletta del signor Biswas e, col signor Biswas da una parte e il ragazzo dall’altra, spinta giù per il corso” […].
Non una parola di dialogo, anzi l’opposto, l’accenno a un dialogo cui non assistiamo: “si scambiarono qualche parola”. La scelta più sottile di Naipaul è quella di non rappresentare la scena dell’acquisto. È questo l’epicentro del senso di vergogna del signor Biswas. La frase “si scambiarono qualche parola” è il perno del paragrafo. In questo brano percepiamo la titubanza di Biswas all’acquisto, e il fatto che sia fatto convincere (con braccio del bottegaio sulla spalla) con qualche parola.
Parecchi giorni dopo la casa di bambole sarà fatta a pezzi dalla moglie del signor Biswas la quale ritiene ingiusto che la loro figlia abbia un regalo del genere, mentre nessuno degli altri bambini della famiglia spaventosamente estesa di Biswas ha ricevuto nulla.
Passo ora la palla a Marylin Santaniello che ci racconta come lavora e cosa fa la sua Agenzia letteraria Sopralerighe
L’Agenzia Sopralerighe fa onore al suo nome, perché rispetto alle altre agenzie letterarie, il suo punto di forza non è solo quello di valutare inediti e cercare di farli pubblicare da editori seri (scopo di tutte le agenzie del settore editoriale), ma anche e, soprattutto direi, quello di promuovere i libri, di dare voce a quanti più autori possibili che non hanno la possibilità di promuovere i propri testi editi a causa del fatto che, magari, hanno scelto di ricorrere all’autopubblicazione. Il loro campo, quindi, rispetto ad autori che hanno pubblicato con case editrici, è sbarrato. Ci sono anche casi di autori che hanno pubblicato con case editrici serissime e che, però, tendono a non investire su questa parte e quindi l’Agenzia arriva in soccorso e segue gli autori come se fosse la loro ombra. Si faranno attività di promozione on line attraverso comunicati stampa, ci sarà la possibilità di interviste, si farà tutto ciò che compete anche la creazione e gestione di pagine web e soprattutto off line, rappresentando gli scrittori all’interno delle fiere di settore, che sono molto importanti per farsi conoscere, per promuoversi e ovviamente per la vendere. Oltre a ciò, l’Agenzia organizza firma copie in presenza per autori che desiderano cimentarsi anche in quest’esperienza e presentazione di libri nella città di appartenenza.
Approfondimenti e consigli di lettura:
V.S. Naipaul, Una casa per Mr. Biswas
James Wood,Come funzionano i romanzi. Ed. Minimum fax
Stephen King, On Writing
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