Il cielo è dei violenti di Flannery O’Connor

Il cielo è dei violenti di Flannery O’Connor

Il libro non è di facile interpretazione, quindi, alla fine, è meglio gustarlo senza farne un problema algebrico

Il cielo è dei violenti di Flannery O’Connor

Flannery O’Connor è entrata ufficialmente nell’elenco dei miei scrittori preferiti.

Il cielo è dei violenti è il suo secondo romanzo dato alla stampa nel 1960-62.Il titolo è legato ad un verso della Bibbia (Matteo 11:12) e fa riferimento a quella violenza spirituale propria dei credenti, che consente loro di superare ogni difficoltà. I violenti non si accontentano di rivolgere preghiere a Dio, ma si aspettano da Questi un segno, una risposta, anche negativa.  

Come dicevo, il libro non è di facile interpretazione. Sulla sinossi mi limiterò a dire pochissimo, sperando di incuriosirvi proprio con le interpretazioni che ne danno i più e la stessa Flannery.

La trama è costruita intorno ad un battesimo. I personaggi non trasmettono alcun messaggio, ma racchiudono nei loro gesti e nelle loro parole, tutte le convinzioni e le riflessioni della O’Connor sulla vita, sul bene, sul male e sulla grazia divina. Flannery O’Connor era una donna complessa, intelligente, arguta, tormentata ma innanzitutto libera. Era cattolica e tutte le sue opere sono imbevute di religione, ma della sua religione. Quella religione lontana da qualsiasi passiva accettazione del dogma. Quella religione con cui si confrontava continuamente, cercando di affermare le proprie convinzioni.  

Flannery O’Connor considerava Il cielo è dei violenti uno dei suoi migliori scritti, ne era orgogliosa, le piaceva tantissimo. In Sola a presidiare la fortezza, una raccolta di lettere ad amici cari e editori, pubblicate dopo la morte, la Flannery O’Connora proposito di questo romanzo dice alla sua carissima e misteriosa amica “A.”:

Mi sa che il resto dell’estate lo passo a lavorare su Tarwater. E’ un libro troppo buono per non migliorarlo. Non sarà mai come dovrebbe, ma bisogna che si regga in piedi un po’ meglio prima che lo lasci andare.

E poi, all’amica e commediografa Maryat Lee scrive:

A questo punto mi sono quasi convinta che il romanzo è finito. Lo deduco dal piacere che finalmente mi dà batterlo a macchina. Me ne sto lì tutto il giorno a battere a macchina con un ghigno sardonico stampato sulla faccia. Niente è paragonabile al compiacimento per i propri sforzi, ed è questa la fase migliore: prima che venga pubblicato e comincino a fraintenderlo.

E il libro secondo me si presta facilmente a fraintendimenti, perché lo analizziamo alla luce delle nostre esperienze personali, immergendolo nella nostra contemporaneità e non in quella di Flannery O’Connor. Le piaceva davvero tanto, e ci mise ben sette anni per finirlo. Era in continua revisione… (sono rassegnata all’idea che la più grande ammiratrice del libro sarà la sottoscritta…Lettera ad Elisabeth Bishop).

Di che parla Il cielo è dei violenti di Flannery O’Connor

Francis Marion Tarwater è un bimbo di quattro anni che vive con lo zio Ryber, un maestro di scuola elementare che lo ha preso in custodia dopo la morte della madre del bimbo. Tarwater, però, viene rapito dal prozio Maison un fanatico religioso, che ha scelto di vivere come un eremita nei boschi, perchè convinto di essere un profeta.  Alla morte del prozio, Tarwater ha ormai 14 anni e decide di tornare a casa dallo zio Ryber con una missione da compiere: battezzare a tutti i costi suo figlio Bishop, che, a detta del prozio, è nato ritardato per grazia Divina. Tutta la storia ruota attorno al giovane e alla sua lotta per non diventare un profeta come suo zio. La crudeltà che lo divorerà sarà la sua sconfitta.

Il libro è un crescendo emotivo che trasporta il lettore in una lotta terribile tra lo zio Ryber che vuole liberare Tarwater dal fanatismo religioso che gli è stato inculcato, riportandolo alla normalità, e la mente del ragazzo che non riesce a liberarsi dai condizionamenti del prozio e dal richiamo di una fede indotta, potente e liberatoria.

La figura del prozio ci risulta immediatamente fastidiosa. E’ autoritario con il ragazzo, lo isola dal mondo, lo veste e lo nutre male e, cosa ancor più drammatica lo istruisce lui, secondo le sue convinzioni e la sua religione, inculcandogli paure, fantasmi, angosce e spingendolo quasi alla follia.

Eppure, non ci crederete mai, ma la O ‘Connor prova una particolare simpatia per il vecchio profeta e afferma:

il lettore moderno si identificherà con l’insegnante, ma è il vecchio a parlare per bocca mia (lettera a John Hawkes).

Foto di
www.pangea.news

Il vecchio ha la faccia a forma di croce e questo per la O’Connor significa che è destinato al Signore, che è destinato a lottare e a conoscere il prezzo della scelta. La scrittrice ci dice che il vecchio prozio di Tarwater non è un battista del Sud ma un indipendente, un profeta nel vero senso della parola che è ispirato dallo Spirito Santo (ecco perché sta particolarmente simpatico alla O’Connor). Inoltre, poiché per la scrittrice ogni personaggio deve essere fedele alla sua natura, anche il vecchio profeta lo è. Lui non è un membro della Chiesa, ma in quanto profeta è un cattolico naturale, anche se in lui domina un forte tratto protestante che gli consente di andare contro gli insegnamenti della propria Chiesa. Ecco perché –  dice la O’Connor –  è anche per questo che mi riesce meglio scrivere dei credenti protestanti che di quelli cattolici; perché esprimono la loro fede in varie forme drammatiche di un’evidenza per me abbastanza facile da cogliere (lettera a suor Mariella Gable). E questo è un altro indizio che ci fa intuire perché questo personaggio attiri le simpatie dell’autrice.

Un aspetto interessante è l’ostinazione di Tarwater nel voler battezzare Bishop, il figlio handicappato dello zio Ryber. Per lui diventa un’ossessione che alla fine ha solo il sapore di una disfatta, tanto personale quanto umana, perché coinvolgerà anche il padre di Bishop. Su quella che a noi sembra un’ossessione, la O’Connor era stata lapidaria:

io non posso permettere a nessuno dei miei personaggi, in un romanzo almeno, di lasciare le cose a metà. Questo indubbiamente deriva da un’educazione cattolica e da un senso cattolico della storia: tutto muove verso il suo vero fine o in direzione opposta; tutto in ultima istanza è salvo o è perso (lettera a John Hawkes).

Temi e simboli de Il cielo è dei violenti di Flannery O’Connor

Il tema del romanzo, è il conflitto tra l’attrazione e l’ostilità per il sacro.

A detta della stessa autrice in una lettera al dott. T.R. Spivey (professore di inglese all’università), i simboli del libro sono due: l’acqua e il pane (che è Cristo). 

L’azione del romanzo è tutta incentrata sull’accanimento egoistico di Tarwater contro tutto ciò che il laghetto (la fonte battesimale) e il pane rappresentano. Ill libro non è che un modesto inno all’Eucaristia. L’acqua è simbolo di purificazione, il fuoco è un altro. L’acqua, ai miei occhi, è un simbolo del genere di purificazione che Dio concede indipendentemente dai nostri sforzi o dai nostri meriti, e il fuoco è il genere di purificazione che ci andiamo a cercare, come il Purgatorio. E’ il nostro male che arde spontaneamente quando ci accostiamo a Dio.

Chiudo la recensione con una raccomandazione: dimenticate tutto quello che avete letto fino a questo momento sulle interpretazioni, i temi e i simboli del romanzo. Non sono impazzita, ma vi lascio riflettere con alcune considerazioni che mandavano letteralmente in bestia la O’Connor:

Le “spiegazioni” mi ripugnano e far uscire un libro con l’istruzione per gustarlo è una cosa orribile. D’ora in poi, a chiunque voglia scrivere qualcosa sul mio conto toccherà leggersi tutto quello che ho scritto, se vuole fare delle critiche fondate […] (Lettera a “A”.)

Un eccesso di interpretazione è senz’altro peggio che un difetto, e laddove manca la sensibilità per il racconto, non sarà certo la teoria rimpiazzarla (lettera ad un professore inglese).

Ad una studentessa che le scrisse di essere troppo stupida per capire i suoi racconti e che le avrebbe fatto piacere capire che edificazione traesse da questi, la O’Connor le rispose che sarebbe stata più contenta se si fosse semplicemente divertita a leggerli senza farne ogni volta un problema algebrico. Flannery aveva raccontato questo episodio a Cecil Dawkins, aggiungendo:  “il genere di lettera che mi manda in bestia”.
 

Buona lettura!

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