Sarcofagi dell’Alfabeto di Ahmet Günestekin: la scultura dei libri banditi 

Evocare la vita attraverso la violenza

Si chiama Sarcofagi dell’Alfabeto l’opera di Ahmet Günestekin, l’artista turco che ha donato al Museo di Arte moderna e Contemporanea di Roma il suo lavoro.

La scultura è caratterizzata da un grande blocco di marmo che sovrasta più pile di libri. Si tratta dei libri proibiti, testi che per più di mezzo secolo sono stati banditi in Turchia e attraverso i quali l’artista vuole testimoniare la forza della conoscenza contro l’oppressione.

L’opera di Ahmet Günestekin fa parte di YOKTUNUZ (Eravate assenti), la mostra al Museo di Arte moderna e Contemporanea di Roma visibile fino al 28 settembre, a cura di Sergio Risaliti e Paola Marino con la direzione organizzativa di Angelo Bucarelli.  

Tutte le opere dell’artista curdo in esposizione si legano al filo della memoria, un elemento che dialoga con i capolavori della Galleria attraverso dipinti, sculture e installazioni. Con il suo lavoro, Ahmet Günestekin vuole testimoniare storie personali e collettive, quelle fatte dagli oppressi, dalle persone che nessuno ricorda. Non è la memoria dei potenti e dei famosi quella che vuole recuperare Ahmet, ma degli emarginati, degli invisibili e degli esclusi, di tutti coloro cioè che non sono mai apparsi nelle cronache ufficiali.

Il cerchio della memoria di Ahmet Günestekin

Emblematica in questo senso è l’installazione Il cerchio della memoria (29/06/2025), un cerchio di sacchi di plastica non traspiranti che racchiudono centinaia di scarpe. Il cerchio si ispira al cerchio solare Göbekli Tepe, un sito archeologico risalente al Neolitico, al confine con la Siria, caratterizzato da monoliti ricchi di simboli e codici ancestrali. Inizialmente l’installazione si chiamava Picco di memoria, e consisteva in un’enorme montagna di scarpe nere che, però, l’artista ha dovuto rimuovere perché il cattivo odore disturbava i visitatori e il personale. Ahmet Günestekin non l’ha rimossa, invece. L’ha modificata. Ha cambiato nome all’installazione e ha ideato un nuovo modo per mantenere viva la “memoria” del suo messaggio, riponendo quelle stesse scarpe in sacchi di plastica e lasciando solo una scarpina al centro del cerchio, simbolo delle vittime innocenti che ogni giorno mietono le guerre. 

In un’intervista al Giornale dell’Arte, l’artista specifica che questa potrebbe essere una delle azioni più significative della sua carriera. L’opera originale è stata fotografata e campeggia all’interno della sala, sui muri bianchi che fanno da contrasto al nero dei sacchi di plastica.

Eravate assenti

Lo stesso contrasto bianco/nero, lo percepiamo nell’opera posta alle spalle di Ercole e Lica di Canova. Un’enorme “tela” nera (Eravate assenti) si contrappone alla violenza del mito evocato da Canova con la violenza contemporanea, quella reale, che respiriamo nel quotidiano, quando i cittadini sono vittime della spropositata potenza armata degli Stati. Oggetti di uso comune che raccontano storie personali sono ammucchiati tra loro, ma non raccontano vite, compongono macerie. I colori della vita non esistono più.  Tutti gli oggetti sono accomunati dalla stessa tinta, il grigio cenere, evocatore di relitti, distruzione e quindi oblio. Ed è tra le pieghe di questa riflessione che si inserisce il lavoro sulla memoria di Ahmet Günestekin: riproporre per non dimenticare.

Tra le altre opere dell’artista curdo esposte in mostra potete ammirarne alcune che si richiamano a monete antiche ritrovate nel paese d’origine dell’artista e che ripropongono ancora una volta il tema del passato che si ricongiunge al presente.

L’arte contemporanea trova nuovamente spazio allo GNAM per dialogare con i capolavori dell’arte mondiale su temi universali, che nel linguaggio estetico di Ahmet Günestekin affronta questioni attuali come l’esodo, le migrazioni e i confini. 

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