La Sedia del Diavolo: Via Nomentana tra preistoria, transumanza e leggende


Il Sepolcro di Elio Callistio
La Sedia del Diavolo si trova in piena città, nel cuore di un quartiere popolare di Via Nomentana: il quartiere Africano. Si tratta di una struttura sinistra, che troneggia al centro di piazza Elio Callistio, testimone di storie antiche che dalla preistoria arrivano fino ad oggi.
In realtà, la Sedia del Diavolo è il nome che il popolino diede al Sepolcro di Elio Callistio, liberto dell’imperatore Adriano, come cita la targa che potete scorgere in piazza.

Il sepolcro risale al II d.C ed era una struttura a “tempietto” a due piani, realizzata in mattoni, molto in voga al tempo. Era una sepoltura più economica rispetto ai grandi mausolei. Solitamente, nell’ipogeo (il piano interrato) si conservavano i sarcofagi con i corpi dei defunti. Al primo piano, invece, si svolgeva il rito funebre a cui partecipavano i parenti e…il defunto stesso! I romani, infatti, credevano di riuscire a coinvolgere nel rito anche il dipartito, che attiravano con oli profumati spigionati da apposite cannule poste tra l’ipogeo e il primo piano.
In realtà, il “tempietto” era un vero e proprio luogo di festini (come vedremo, anche in epoche successive a quella romana), perché i parenti del defunto vi celebravano anche il suo compleanno e le feste religiose dedicate ai defunti in generale, come i Parentalia e i Lemuria (festa di purificazione che scacciava gli spiriti maligni).
La semplicità esteriore del tempietto, infine, si contrapponeva alla struttura interna, che era molto sontuosa e ricercata. Abbondavano marmi, stucchi e mosaici.
Ma tornando alla questione iniziale: perché si chiamava Sedia del Diavolo?
La Sedia del Diavolo: transumanza e leggende
Facciamo un bel balzo in avanti, e tariamo la macchina del tempo al 1300. In quel periodo, il Sepolcro di Elio Callistio cadde in rovina. Una parte crollò, ma la restante riusciva comunque a dare riparo ai pastor che, periodicamente, transitavano da quelle parti per portare al pascolo le greggi. Per riscaldarsi, i pastori accendevano spesso un fuocherello che alimentava l’immaginazione della gente. Il muro crollato, faceva assomigliare il Sepolcro a una sedia, a un Trono e il fuoco faceva il resto, conferendogli un aspetto davvero sinistro. Eh sì era proprio il trono del Diavolo!
Da quel momento, iniziarono a circolare voci e leggende. Si raccontava di riti satanici, feste e orge in suo nome, organizzate all’interno del Sepolcro, e non solo. Era opinione comune che il marmo grattato dai suoi muri venisse aggiunto a pozioni magiche usate per guarire le malattie.

La leggenda arrivò fino all’Ottocento, periodo in cui si narra di un certo pastore Giovanni che si rese conto di aver acquisito “certi poteri” per il solo fatto di essersi avvicinato alla Sedia del Diavolo. Era diventato un guaritore. La voce si diffuse velocemente, e a frotte si recavano dal potente guaritore per cercare sollievo ai propri malanni. Si racconta di una certa Assunta da Napoli che il pastore avrebbe guarito da un’acuta forma di dissenteria perniciosa. I due però furono accusati di stregoneria e dovettero darsela a gambe. Di loro non si seppe mai più nulla.
La Sedia del Diavolo: tracce di preistoria
Non si racconta quasi mai la Roma prestorica, eppure proprio qui, a due passi dalla Sedia del Diavolo, su via della Batteria Nomentana, precisamente a 400 mt a piedi, fu rinvenuta alla fine del 1800 una zanna di elefante. Il reperto apparteneva, secondo il paleontologo Romolo Meli, all’elefante meridionale, una specie proveniente dall’Asia e insediatosi qui circa 1 milione di anni fa. La zona, quindi, nel periodo del Pleistocene inferiore, doveva essere ricca di fauna e flora. Al tempo, il ritrovamento ebbe una grandissima eco e ulteriori scavi alle spalle della Sedia del Diavolo, nell’attuale piazza Addis Abeba, confermarono le ipotesi degli studiosi. Qui vennero ritrovati fossili di rinoceronti, daini, cinghiali, leoni delle caverne, utensili e ossa umane!

La zona attorno alla Sedia del Diavolo, quindi, a ridosso di Via Nomentana, era ricca di vita! Uomini e animali convivevano, e sappiamo che almeno due specie dell’epoca si sono estinte. Si tratta del leone delle caverne, il cui unico esemplare al mondo è stato ritrovato in Siberia nel 2015, perfettamente integro perché rimasto congelato e l’uru. Quest’ultimo era una specie di toro particolarmente aggressivo che, dalle cronache del tempo, sappiamo esistito fino ai primi del 1600. Le fonti riportano che l’ultimo esemplare femmina morì nella foresta di Jaktorów in Polonia. Qui, esiste anche un monumento che la ricorda!
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