Russia incatenata di Francesca Legittimo
Russia incatenata di Francesca Legittimo. Viaggio tra le prigioni della letteratura e della realtà è un libro appassionante che tratta un argomento poco studiato: le prigioni
L’uomo russo
Russia incatenata di Francesca Legittimo edito da Intra Edizioni è un libro appassionante, che ci accompagna tra i grandi mostri sacri della letteratura russa attraverso le cui esperienze il lettore si addentra in un mondo misterioso e terribile, che ha da sempre un’attrazione fatale sul popolo russo: le prigioni. Il saggio è anche, quindi, un percorso nell’anima e nella cultura russa, nel rapporto che l’uomo russo ha con lo Stato, con il male, con la crudeltà, la libertà, il senso di “colpa” e con Dio.
L’esperienza dell’arciprete Avvakum, di Dostoevskij, di Solženicyn, di Čechov, di Dovlatov e di tanti altri scrittori russi approfonditi nel libro, restituiscono al lettore una personale visione della prigione; emblematico il caso di Tolstoj, che in carcere non c’era mai stato, ma le cui “prigioni”, quelle mentali, quelle dell’anima, lo hanno ossessionato per tutta la vita.
Attraverso un linguaggio fluido e chiaro, l’autrice trascina il lettore in un mondo affascinante, quello della letteratura russa che, sono certa, stuzzicherà la vostra curiosità e vi spingerà ad approfondire almeno uno degli scrittori trattati. L’empatia dell’autrice con le storie personali di ogni singolo autore ci dà la sensazione di leggere un romanzo piuttosto che un saggio. Ansimiamo per le loro sorti, soffriamo per i disagi patiti e ci lasciamo coinvolgere dalle loro profonde riflessioni.
Ringrazio Francesca per questa intervista e per l’opportunità che ci ha dato di parlare non solo di letteratura russa ma anche di condividere alcune esperienze personali che sono alla base del suo lavoro.
Russia incatenata di Francesca Legittimo
Ciao Francesca, sei nuova qui a Sguardo ad Est, ti vuoi presentare brevemente ai nostri lettori? Cosa fai nella vita? E cosa ti piace?
Innanzitutto, vorrei ringraziarti per l’interesse nei miei confronti. Insegno lingua e letteratura russa allo IUM di Milano. Da oltre trent’anni mi occupo di Russia. E di solito lo faccio partendo dalle parole.
Il tuo libro è interessantissimo e mi ha colpita fin dalle prime pagine. Partiamo subito con l’argomento del saggio: le prigioni. Perché hai scelto di occuparti di questo tema e in che modo lo tratti?
Devo dire che quando molti anni fa visitai una delle celle della fortezza di San Pietro e Paolo a San Pietroburgo, provai un’emozione molto forte. Poi iniziai a prestare attenzione al fatto che la prigione è molto presente nella cultura russa. In quasi tutte le serie televisive un qualche personaggio finisce dietro le sbarre. Il gergo carcerario si è diffuso ampiamente a tutti i livelli della società diventando il “gergo” per eccellenza. A questo punto ho iniziato a leggere le opere della letteratura russe che trattano dell’esperienza carceraria.
Tra gli scrittori russi che approfondisci nel libro, qual è stata la vicenda umana che ti ha coinvolta di più? Con quale scrittore hai sentito più empatia?
Devo dire che Čechov è da sempre il mio scrittore preferito, per cui la sua scelta di recarsi dall’altra parte del mondo, all’isola Sachalin, per studiare e comprendere la vita dei galeotti non poteva lasciarmi indifferente. Per quanto riguarda la profondità delle considerazioni filosofiche suggerite dal carcere, direi che il poeta Brodskij non ha rivali.
Nella premessa di Russia Incatenata dici che la prigione esercita da sempre una sorta di fascinazione nella cultura russa. Ci spieghi perché? Che idea ti sei fatta?
Sì, è proprio così. L’uomo russo è incline alla compassione e all’empatia nei confronti di chi ha sbagliato. Il prigioniero è considerato più un disgraziato che un delinquente. È profondamente radicata la consapevolezza del fatto che chiunque potrebbe finire in prigione. D’altro canto, la prigione è anche una specie di scuola di vita. Moltissimi scrittori hanno iniziato a scrivere proprio durante la prigionia: Dostoevskij primo di tutti. In epoca più recente Dovlatov. Il fenomeno che meglio esemplifica questa fascinazione è rappresentato dalle žduli, donne che iniziano a scrivere ad un detenuto, se ne innamorano senza averlo mai visto e arrivano persino a sposarlo.
Il libro si chiude con la storia di Ol’ga Romanova. Come l’hai conosciuta? E perché ne parli?
Durante le mie ricerche sulle prigioni russe mi sono subito imbattuta nel suo nome. È una giornalista celebre il cui marito molti anni fa finì in prigione per motivi fiscali. A quel punto lei che era convinta di conoscere il proprio paese si accorge che esiste un altro paese, quello delle colonie penali, a lei ignoto. Decide di fondare un’associazione “Russia dietro le sbarre” che intende aiutare i carcerati e le loro famiglie. L’ho contattata tramite Facebook, lei si è mostrata molto disponibile e ci siamo viste due volte a casa sua, a Berlino, dove vive da alcuni anni. Per me lei è il simbolo di una persona libera nel senso più alto di questa parola. Non condivido infatti l’opinione di coloro che pensano che i russi abbiano bisogno per loro natura di una mano forte. Così come credo che la Russia non sia un paese diverso dagli altri che sfugge a qualsiasi tentativo di analisi. Di questo ho parlato nel mio precedente saggio “La sfinge russa”.
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