Protezione e distruzione nell’opera di Davide Sgambaro
Si chiama Finger into My Eyes (Kiss, Kick, Kiss) #8 (2024) l’opera che l’artista padovano, Davide Sgambaro, ha presentato per Quotidiana a Palazzo Braschi
Davide Sgambaro
Si parla di protezione e distruzione nell’opera di Davide Sgambaro che è stata esposta negli spazi di Palazzo Braschi per il programma Quotidiana.
Perché tiro in ballo quest’opera a distanza di tempo (il lavoro non è più visibile al pubblico dal 18 febbraio)? Per una serie di motivi. Primo fra tutti perché è particolare e perché mi ha dato la possibilità di alcune riflessioni sulla generazione di oggi e quella di ieri.
L’opera di Sgambaro, giovane e talentuoso artista, classe 1989, è ricca di suggestioni. Finger into My Eyes (Kiss, Kick, Kiss) #8 (2024) si presenta agli occhi del visitatore mostrando tutta la sua apparente banalità: una struttura in legno grezzo sormontata da una teca in vetro che protegge un petardo scoppiato. La mia mente si è affollata di pensieri strani che sono andati immediatamente alla guerra, non solo a quella che respiriamo attraverso i notiziari, ma anche a quella che alberga nella testa di molti giovani (non tutti per fortuna).
Il culto della performatività
La ricerca di Davide Sgambaro interpreta, attraverso un tono autoironico, i sentimenti di stanchezza, frustrazione e inadeguatezza di una generazione che si vuole ribellare al culto della performatività. Il titolo dell’opera, Finger into My Eyes (Kiss, Kick, Kiss) #8 (2024), fa riferimento alla tecnica del “bacio, calcio, bacio” (Kiss, Kick, Kiss) molto in voga nel mondo del lavoro: ti devo comunicare una cosa spiacevole che ti edulcoro prima e dopo con parole gentili e complimenti. Gli atti di protezione e distruzione nella comunicazione, diventano nell’opera di Davide Sgambaro una teca che protegge un’esplosione, un evento impattante ammortizzato da una protezione fittizia.
La tecnica del Kiss, Kick, Kiss è molto simile alla tecnica del “Sandwich” anche questa molto usata in ambito lavorativo: ti faccio prima molti complimenti, vado al sodo, ti do la cattiva notizia e poi ti incoraggio a fare del tuo meglio per migliorare in futuro. Queste sono tecniche di comunicazione per mantenere un buon rapporto interpersonale senza inasprire gli animi e al contempo dire le cose come stanno.
E’ una metodologia comunicativa che al dire il vero non percepiamo solo nel mondo del lavoro, è uno stratagemma che utilizziamo anche noi, inconsapevolmente, quando dobbiamo dare, ad esempio, una cattiva notizia a un amico per evitare che sprofondi nell’angoscia più totale. La dicotomia (protezione e distruzione) a cui fa riferimento Davide Sgambaro, però, sottolinea probabilmente l’aspetto negativo di questo tipo di tecnica.
L’opera dell’artista padovano, infine, sembra evocare un’atmosfera di malinconia, che ci ricorda qualcosa di piacevole (o di spiacevole?) che è terminato (forse un party? un’occasione mancata?) e che non tornerà più. Un alone di nostalgia quindi che pervade tutta l’opera.
Le mie riflessioni a tutto tondo
Il lavoro di Sgambato mi è piaciuto, perché, come dicevo, secondo me, apre a diverse riflessioni. Le mie riflessioni sono state sulle ansie di questa nuova generazione che non riesce a guardare al futuro con serenità e che si vuole ribellare al culto della performatività. Poi, però, passo in rassegna la generazione precedente e quelle ancora prima e faccio un paragone: la nuova generazione non ha vissuto sulla propria pelle la guerra e i campi di concentramento, non ha vissuto l’angoscia delle stragi delle brigate rosse e il fragore delle bombe improvvise nel cuore della città, non ha vissuto la tensione della guerra fredda, non è rimasta scioccata per la strage etnica jugoslava a un passo da casa nostra, non ha sentito parlare di guerra in Libia, non ha vissuto l’angoscia delle torri gemelle e quella di possibili attentati terroristici in qualsiasi città del mondo, non sa cosa significare avere solo 2 paia di scarpe a stagione, vivere con un solo stipendio.
E allora mi chiedo: cosa rende questi giovani frustrati e inadeguati? Lo vogliamo chiedere a chi è stato nei campi di concentramento oppure a chi ha perso tutto durante la guerra? Lo vogliamo chiedere a quelle famiglie che non sapevano neanche cosa significasse fare le vacanze una volta l’anno? Quelle persone senza niente, ci hanno costruito il nostro presente, questo presente fatto unicamente di agi che noi non siamo in grado di apprezzare e trasformare in vantaggio.
Giovani troppo viziati, troppo arroganti, che hanno troppo, che vengono giustificati per tutto, soprattutto per le malefatte, che vivono senza valori (loro e i loro genitori). Sono proprio le performance ad essere al centro della loro vita, performance che alimentano narcisismo e una enorme voglia di sfoggiare se stessi dentro e fuori i social; giovani che hanno poca voglia di lavorare e per i quali tutto è dovuto, che sono vittime di genitori che non capiscono (su questo non posso dar loro torto) e che sentono di avere una identità solo se fanno parte della massa.
Aiutiamoli a uscire fuori dal coro, a coltivare valori, a lavorare sulla propria personalità e sulla propria forza di cui avranno un enorme bisogno per andare contro corrente con coerenza e determinazione, supportati da valori veri e non da quelli imposti dall’omologazione e dalla massa che ci vuole belli, cazzuti (cioè violenti) e perfettamente in linea con il resto del gregge. Ma per fare tutto questo ci vuole coraggio (innanzitutto da parte dei genitori) e tanta determinazione, due caratteristiche che sono alla base di quella motivazione che li renderà uomini e donne liberi da qualsiasi catena della retorica comune e da qualsiasi ideologia divisionista che vuole la società divisa in due fazioni (“o sei con me o sei contro di me”) su tutti gli argomenti di attualità possibili e immaginabili.
A parte tutto, l’opera di Davide Sgambaro mi è piaciuta tantissimo! Anche solo per avermi fatto fare una serie di voli pindarici di cui sentivo la mancanza. Del resto, l’arte ha sempre avuto un forte ruolo sociale, è immersa nell’attualità perché parla di tutto ciò che ci circonda attraverso gli occhi dell’artista. Ognuno di noi è ispirato da un’opera d’arte e, anche se ciò che vede in essa non è ciò che vede l’artista, l’arte ha assolto comunque la propria funzione: è un veicolo, è un linguaggio che parla al mondo del mondo.
0 Comments