Le insospettabili che rapirono Salvini di Andrea Tomasi

“Le insospettabili che rapirono Salvini” di Andrea Tomasi

Quattro amiche decidono di mettere un punto e rapiscono un politico in vista. Perché? Le insospettabili che rapirono Salvini di Andrea Tomasi

Il docu-romanzo di Andrea Tomasi

Le insospettabili che rapirono Salvini di Andrea Tomasi edito da Terra Nuova è un romanzo sui generis, che trae spunto da un fatto drammatico, la contaminazione da Pfas in Veneto, per parlare in chiave comica e leggera di un argomento devastante che mette a rischio la nostra salute e il futuro dei nostri figli. I Pfas sono sostanze impermeabilizzanti inodori, incolori e insapori con cui è stata compromessa una falda acquifera grande come il lago di Garda. Per anni la gente ha bevuto quell’acqua, ha respirato quell’aria. I Pfas sono all’origine di malattie (tumori, problemi alla tiroide, allo sviluppo cerebrale e, nei bambini, ad uno sviluppo anomalo dell’apparato genitale).

Andrea Tomasi, giornalista professionista da sempre attento alle tematiche legate all’ambiente e alla salute, ha deciso di riportare all’attenzione del pubblico, in chiave comica, un argomento forse poco noto.

In questa bella intervista, Andrea Tomasi ci racconta proprio tutto: cosa fa nella vita, quali sono le sue passioni, perché ha scelto di scrivere un libro inchiesta in chiave comica, da cosa ha tratto spunto e di cosa parla. Insomma, non ho proprio niente da aggiungere, è scritto tutto qui!

Ringrazio Andrea per questa intervista, per avermi raccontato la sua esperienza e fatto conoscere il suo libro. Buona lettura a tutti!

Le insospettabili che rapirono Salvini di Andrea Tomasi

Iniziamo proprio dal titolo. Perché nel tuo romanzo le quattro donne rapiscono proprio Salvini e non un altro politico? Perché hai scelto lui?

Le quattro insospettabili decidono di rapire Matteo Salvini dopo un confronto acceso, di quelli schietti, che si fanno fra amiche, fra una risata e qualche bottiglia di vino, birra o vodka. Valutano una “rosa” di possibili vittime. Alla fine, decidono che si deve rapire il politico più “pop”, quello conosciuto da tutti. Salvini è “l’ostaggio ideale” perché è il più mediatico, il più social, il più odiato ma anche il più amato nell’Italia di oggi. Insomma, l’attuale segretario della Lega puoi non apprezzarlo, ma non puoi ignorarlo. Per questo motivo le quattro amiche – che come tanti non seguono tutti i giorni la politica, se non per quello che sentono distrattamente dalla tivù – scelgono lui.

E poi una delle quattro, Federica (l’unica single, l’unica senza figli), è l’aggancio con il partito di Salvini. Lei – dopo una sbandata pro Renzi (il suo cane si chiama Matteo – in omaggio all’ex sindaco di Firenze ed ex premier – e farà la guardia all’altro Matteo) – ha un passato di militanza nel Carroccio. Ed è grazie e a lei che le quattro, intrufolandosi nel teatro dove Salvini è invitato per un comizio, riusciranno a tramortirlo e a caricarlo su un vecchio camper, non prima di averlo immobilizzato con delle manette speciali (quelle col vellutino rosa, stile sex toy). 

Salvini, bendato e imbavagliato, sarà costretto ad una “vacanza non programmata” con queste quattro folli. Viste da fuori, sembrano un gruppo di innocue amiche in ferie. Nessuno sospetta chi viaggia con loro su quel vecchio camper polveroso, trasformato in prigione viaggiante. Le insospettabili rapiscono Matteo Salvini per fare in modo che i grandi media puntino i riflettori sul caso (spesso ignorato) della contaminazione da Pfas in Italia. “Se rapiamo lui – dicono – nessuno potrà più fare finta di nulla e la politica dovrà agire con una legge a tutela della salute dei nostri figli e con una bonifica del territorio”.

Per il tuo lavoro ti sei sempre interessato di ambiente e salute. Cos’è che ti ha spinto a scegliere per il tuo romanzo la tragedia delle sostanze perfluoroalchiliche nella falda acquifera in Veneto e non un altro argomento?

Da giornalista mi occupo da anni di ambiente e salute. Nel 2018 ho realizzato, con il collega videomaker Leonardo Fabbri, il docufilm “Pesticidi, siamo alla frutta”. In quel periodo Michela Zamboni – componente del gruppo Mamme No Pfas, che si batte per avere giustizia, verità e un ambiente tutelato – mi ha contattato proponendomi di fare un lavoro di approfondimento sulla contaminazione da Pfas in Veneto (ma in realtà il problema si pone anche in Lombardia, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna… in realtà in tutta Europa, in tutto il mondo). Ne è nata la videoinchiesta “Pfas, quando le mamme si incazzano”, che racconta dei danni, della rabbia e dell’orgoglio delle mamme incazzatissime perché quando si tocca la salute dei bambini non puoi che incazzarti.

Non si poteva non trattare un argomento come questo. Il libro “Le insospettabili che rapirono Salvini” (Terra Nuova Edizioni) è l’evoluzione narrativa della videoinchiesta sulle mamme incazzate. Nella finzione del racconto le insospettabili scoprono dalle Mamme No Pfas cosa è stato fatto al nostro territorio e alla nostra salute (nostra e dei nostri figli). Per questo, nella loro follia, decidono di fare ciò che non si può fare: rapire un politico per fare in modo che i politici facciano Politica con la P maiuscola e si occupino di un dramma vero e per fare in modo che le notizie riguardanti questo inquinamento non finisca in qualche notizia in breve in fondo alle pagine dei giornali.

Nella quarta di copertina de “Le insospettabili che rapirono Salvini”, specifichi che si tratta di una commedia nel dramma. Perché hai scelto di trattare l’argomento con ironia? E’ un lato del tuo carattere

L’idea è di usare un veicolo leggero (il romanzo in chiave comica/brillante) per trasportare materiale pesante (la questione della contaminazione, che di divertente non ha nulla). Questo docuromanzo è dramma nella commedia o commedia nel dramma: ci sono risate, colpi di scena, dialoghi divertenti, ma c’è anche documentazione rigorosa (ricordo anche che c’è un processo in corso sulla questione della contaminazione fra le province di Vicenza, Padova e Verona).

Le protagoniste del libro interagiscono con personaggi reali. Non c’è solo Salvini. C’è ad esempio Luca Zaia, governatore del Veneto e c’è la compianta Nadia Toffa, che con la trasmissione Le Iene è stata fra quei cronisti (ce ne sono di bravissimi) che hanno continuato ad occuparsi di un argomento che in molti avrebbero preferito venisse messo “in soffitta”. “Le insospettabili che rapirono Salvini” vuole essere un romanzo per tutti, per tutti quelli che magari di questa questione sanno poco o niente. L’ambizione è di fare arrivare il lettore fino all’ultima pagina con leggerezza. Vorrei farlo divertire e, allo stesso tempo, permettergli di venire a conoscenza di cose di cui prima non sapeva.

L’ironia è sicuramente qualcosa che fa parte di me e sicuramente dalle pagine emergono tanti elementi riconducibili al mio modo di vedere e affrontare le cose. Devo dire però che, per “scolpire” i diversi caratteri delle quattro amiche, mi sono affidato a varie consulenti femminili. C’è molto “rosa” nelle pagine: da uomo, per cogliere e far sentire il senso dell’umorismo delle donne, non potevo che affidarmi a delle donne (le trovate nelle pagine dei ringraziamenti).

Sei nuovo ai lettori di Sguardo ad Est. Ci racconti brevemente qualcosa di te e delle tue passioni?

Rischio di essere un po’ noioso. Amo tutto ciò che permette di raccontare: la radio, il cinema, la fotografia e i social, se gestiti con intelligenza e non subìti. Diciamo che fin da piccolo mi è sempre piaciuto scrivere. La mia maestra elementare disse ai miei genitori: “Non so cosa farà Andrea da grande, ma di sicuro avrà a che fare con la scrittura”. Aveva ragione la maestra Flora… Ed aveva ragione quando diceva che avevo un senso della giustizia alquanto sviluppato… La scrittura (che sia in forma di fiction o che sia giornalistica) ha un potere forte. Ciò che scrivi si imprime dentro: prima di tutto dentro di te ma poi anche negli altri o, meglio, in quelli con cui riesci a sintonizzarti.

La parola è la nostra arma. E la parola può essere messa a servizio del bene. Senza voler fare “filosofia d’accatto”, mi piace ricordare le parole di un amico e collega, Rinaldo Cao (un giornalista a cui io da ragazzino portavo i miei articoli quando collaboravo con la redazione del quotidiano Alto Adige e che mi ha visto crescere). Una volta gli ho chiesto perché aveva scelto di fare il giornalista e lui mi ha risposto: “Perché quando entro in redazione sento profumo di libertà”. Ecco  la libertà è il motore che ti porta alla verità (o ciò che più si avvicina alla verità) e che quindi ti fa stare bene.

E oltre alla scrittura?

Fino a qualche tempo fa avrei detto la mountain bike. La bicicletta mi ha sempre accompagnato e il ciclismo è forse lo sport che mi interessa di più (non che io sia un esperto di sport, tutt’altro). Detto questo – devo confessarlo – da qualche tempo la mia bici sta facendo solo polvere. Colpa di un’altra passione: ho una moto, una Royal Enfield (moto nata britannica e divenuta indiana), che – mi è stato fatto notare – fotografo fin troppo. Probabilmente è un’altra patologia, oltre alla curiosità, alla voglia di sapere.

E delle tue precedenti pubblicazioni? Ce ne parli?

Tutto è iniziato nel 2009 quando al giornale non avevo gli spazi di scrittura che pensavo di meritare. Allora mi sono dedicato alla scrittura in proprio. Ho scritto un libro dedicato ai fotogiornalisti del Trentino (“Fotocamera con vista”, Il Margine Edizioni). Nel frattempo ho iniziato ad occuparmi di salute e ambiente, di impianti per lo smaltimento industriale dei rifiuti spacciati come la soluzione per i problemi ambientali, ma che in realtà spesso sono solo strumento di arricchimento per gente senza scrupoli e per collocare “politici” a fine carriera. Ho scritto “La farfalla avvelenata” (Città del Sole Edizioni, 2012) con il collega Jacopo Valenti sul traffico di rifiuti tossici (residui industriali del centro e nord Italia stoccati in Valsugana).

Nel 2014 ho virato sulle produzioni video: “Veleni in paradiso” è il sequel de “La farfalla avvelenata”. Poi ho realizzato un minidocufilm (2016) dedicato al reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale di Padova: un viaggio, con gli occhi di un genitore, in quei corridoi fatti di dolore e di speranza (“Un filo appeso al cielo”). Nel 2018 è stata la volta di “Pesticidi, siamo alla frutta”. Nel 2019, con Wasabi Filmakers, ho fatto “Pfas, quando le mamme si incazzano (visibile sul canale YouTube della rivista “Il Salvagente”). Infine, ho scritto “Donne Dolomitiche” (con Tsm e Accademia della Montagna, 2020). Mi è stato fatto notare che ci sono sempre molte donne nei miei lavori. Anche ne “La farfalla avvelenata” – che è un libro su un’inchiesta giudiziaria – le protagoniste principali sono due donne: la pm Alessandra Liverani e Maria Principe l’allora vicequestora del nucleo investigativo del defunto Corpo forestale dello Stato.

E ora il romanzo “Le insospettabili che rapirono Salvini”. Anche qui le donne. Come te lo spieghi?

La risposta lunga è che questo è comunque un libro ispirato alle Mamme No Pfas (che cito ampiamente) quindi alle donne che da anni si impegnano per fare in modo di risolvere il problema di questa gravissima contaminazione. Le insospettabili – che sono amiche ed estimatrici delle Mamme No Pfas – usano metodi più spicci, “battono in testa” e fanno cose ridicolmente folli. La loro rabbia però è la stessa che si può cogliere parlando con le Mamme NoPfas.

La risposta breve sul perché le donne sono molto presenti nei miei lavori è perché personalmente trovo che le donne siano molto più interessanti degli uomini.

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