La foresta di libri realizzata da Ekaterina Panikanova 

La foresta di libri Ekaterina Panikanova

Un ideale contenitore di memorie è l’opera site-specific di Ekaterina Panikanova in Mostra alla Fondazione Memmo

Fondazione Memmo

La foresta di libri realizzata da Ekaterina Panikanova si chiama Untitled (Forest) ed è presente alla Fondazione Memmo nell’ambito della mostra Conversation Piece | Part IX. L’esposizione, che si articola in un gruppo di operedisposte in un percorso che parte dalla facciata di Palazzo Ruspoli per proseguire poi nel cortile e nelle Scuderie, si propone di restituire un’immagine di “biblioteca” come deposito dell’immaginario collettivo e della cultura universale.

L’opera della Panikanova accoglie il visitatore all’ingresso della mostra. E’ bella e molto suggestiva. Rami e alberi secchi che sembrano perdere la propria natura creando un’osmosi con l’oggetto con cui entrano in contatto, si modificano e si rinnovano. La foresta di libri realizzata da Ekaterina Panikanova ha un forte valore simbolico e forse vuole ricordarci che al mondo tutto ciò che ci circonda è soggetto a continue trasformazioni.

Alla parete, un gruppo di libri su cui l’artista ha disegnato a china, ammalia il visitatore, immediatamente attratto da quelle nuove storie e racconti. Le figure e le immagini che emergono dai libri, acquistati nei mercati o di recupero, sono il risultato di un lavoro che indaga l’individuo e la collettività, il loro legame e le numerose sfaccettature. In Untitled (Forest) l’artista ha dato vita al concetto di trasformazione dell’individuo attraverso i libri. Questi ultimi raccolgono e raccontano storie che contribuiscono ad alimentare il nostro inconscio e a formare le persone che siamo e che diventeremo. Al pari dei libri, anche altri oggetti che abbracciano l’opera sono tracce di memoria: qualcuno li ha usati, regalati, ricevuti; anch’essi raccontano una storia che fu. 

Ringrazio Ekaterina Panikanova per avermi dedicato questa bella intervista con cui ho cercato di indagare maggiormente l’opera esposta e di approfondire un po’ di più il linguaggio artistico dell’autrice.

La foresta di libri realizzata da Ekaterina Panikanova 

Buongiorno Ekaterina, lei è nuova ai lettori di Sguardo ad Est, ci vuole raccontare quando ha scoperto che l’arte avrebbe fatto parte per sempre della sua vita? 

EP: Sin da piccola sentivo l’esigenza di esprimermi attraverso un linguaggio, quello visivo, che potesse racchiudere il mio universo e la mia identità – allora in fase di sviluppo – in maniera autonoma e sincera. Comunicare attraverso un linguaggio non verbale, per certi versi universale, come quello legato all’immagine, garantiva una facilità nella comunicazione stessa, a tal punto da sentire di potermi rivolgere a diversi gruppi di persone, nello stesso momento. È così che ho iniziato a sviluppare una curiosità sempre maggiore verso il disegno e la pittura, che rimango ad oggi due dei media che più di frequente ho praticato nel corso degli anni, sin da bambina appunto. 

La sua opera, Untitled (Forest) è molto suggestiva. Quando le è stato chiesto di partecipare alla mostra La Biblioteca del Mondo che cosa ha voluto trasmettere attraverso il suo lavoro?

EP: Tutto il mio lavoro e la mia ricerca sono legati al libro in quanto strumento – il mezzo che molto spesso utilizzo per dipingere a inchiostro, anche se non in maniera esclusiva – e, al contempo, custodisce in sé un valore altamente simbolico che si intreccia con tutta la mia pratica: il libro è per me un deposito di contenuti, storie e narrazioni che entrano nel nostro universo per facilitare la costruzione di un immaginario mutevole e attraente. Perciò, indago sull’equilibrio tra la ragione e l’istinto, un equilibrio in cui emerge il rapporto tra archetipi dell’inconscio e aspettative socioculturali. Con Untitled (Forest) ho cercato di restituire tutti questi aspetti, centrali nella mia pratica, e che si intrecciano con le storie che ognuno di noi porta nel proprio bagaglio esperienziale e umano. 

Incuriosiamo un po’ i lettori e aiutiamoli a entrare nel suo mondo, nel suo processo creativo. Quando ha utilizzato gli alberi e bicchieri per la sua opera, a cosa si è collegata la sua mente? Cosa sentiva il bisogno di esprimere?

EP: Gli alberi che ho impiegato per l’installazione site-specific Untitled (Forest), attualmente in mostra alla Fondazione Memmo nell’ambito di Conversation Piece | Part IX, a cura di Marcello Smarrelli, appartengono a diverse specie. I rami di potatura sono concepiti come un albero modellato, in cui una tipologia metamorfosa, si trasforma, in un’altra, e così via. L’idea è quella di una corteccia che muta e cambia di sostanza; questa trasformazione implica una mutazione dell’identità dell’oggetto (l’albero appunto) che diventa qualcos’altro. È proprio così che viene formandosi la nostra identità, modellata attraverso l’istruzione, l’educazione familiare, il contesto sociale, il matrimonio e la religione: tutti questi aspetti – che riguardano ciascuno di noi – si intersecano con l’esistenza e definiscono degli archetipi, con cui nella nostra vita ci confrontiamo costantemente. I bicchieri, i libri, le ceramiche, gli elementi organici, fanno parte di questa grande orchestra; oggetti trovati, portatori di memorie, di qualcuno o di qualcosa. Il bicchiere, ad esempio, rappresenta per me l’aspettativa, un momento di attesa in cui si raccolgono, gli uni sugli altri, i desideri e la loro possibilità di realizzazione. 

Quali sono i mezzi espressivi che predilige per la sua arte (non so, pittura, disegno, collage…). E perché?

EP: Ho sempre lavorato impiegando media differenti e tecniche espressive diverse. L’aspetto che maggiormente mi guida è la possibilità che la pittura, il disegno e l’installazione possano stabilire un ponte tra i contenuti che desidero veicolare e lo sguardo di ciascuno di noi. Object trouvés, disegno a inchiostro e ceramica sono parte di uno stesso insieme in cui non viene pre-stabilita la superiorità di un mezzo su un altro, bensì espressa in maniera organica l’idea di un ambiente che si fa installazione attraverso l’impiego di tecniche disparate ma in continuità tra loro. 

Lei è nata in Russia, ma vive e lavora a Roma. Il suo Paese torna mai nelle sue opere? Lo richiama alla mente attraverso la sua arte?

EP: Ancor prima di essere russa, sono una artista, e questo definisce il mio percorso come individuo. Mi sono formata all’Accademia Russa di Belle Arti a San Pietroburgo e ho trascorso tutta la mia infanzia tra i corridoi e le magnifiche sale dell’Ermitage, le cui collezioni conservano alcuni tra i più prestigiosi Maestri della Storia dell’Arte. A contatto con queste opere ho creato un mio personale archivio, una fonte d’ispirazione che ha arricchito costantemente il mio sguardo sul mondo. 

Ekaterina Panikanova, classe 1975 è nata a San Pietroburgo e lì si è diplomata all’Accademia di Belle Arti. L’artista impiega il disegno come suo mezzo espressivo privilegiato e come strumento di indagine sull’inconscio collettivo. Ha realizzato tantissime mostre che vi invito a scoprire leggendo la sua biografia, qui, per necessità, riporto solo le più recenti: Vanitas of Metamodern, NK gallery, Anversa (2021); “Cosmoscow“, solo show, Mosca (2021);  “Attraversando il mio giardino“, a cura di Marina Dacci, z2o Sara Zanin, Roma (2019).

Spero di avervi incuriositi con questa bella mostra di Arte contemporanea che potete visitare fino al 21 aprile 2024. L’ingresso è libero e la Fondazione Memmo è aperta tutti i giorni dalle 11.00 alle 18.00 (martedì chiuso).

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