Continuiamo a dimenticare: Autel Lycée Chases di Christian Boltanski
Perché non riusciamo a trarre insegnamento dal passato?
Autel Lycée Chases (1989) di Christian Boltanski (L’Altare del liceo Chases), è un’opera che mi è tornata alla mente alla luce dei tragici eventi dell’ultimo mese legati alla guerra in Ucraina.
La mia domanda non trova una risposta accettabile.
Tanti artisti come Boltanski (1944 – 2021) hanno speso la propria vita artistica a ricordarci che le guerre e i genocidi passati devono essere un monito e uno stimolo alla costruzione di un futuro di pace.
Di Christian Boltanski ne ho parlato in più occasioni. Mi piace molto il modo in cui reinterpreta artisticamente un tema che gli è particolarmente caro, la memoria. Le sue opere ci ricordano che non dobbiamo mai dimenticare gli orrori della guerra.
I lavori di Boltanski troneggiano come un monito spettrale nelle sale dei più importanti musei del mondo. Quando mi fermai davanti Autel Lycée Chases rimasi interdetta e un po’ inquietata. I volti dallo sguardo vuoto e le bocche ambigue atteggiate ad sorriso sincero, mi trasmettevano ansia. Poi lessi la targhetta e vidi il nome di Boltanski e l’angoscia iniziò a galoppare.
Quei sorrisi potevano essere veri, ci ricorda l’artista francese.
Il lavoro di Boltanski è pervaso dal tema della morte, della perdita e della memoria. Questo è il motivo per cui molte delle sue installazioni, compresa Autel Lycée Chases, sono altari anonimi a chi è scomparso.
Quando mi trovai difronte all’opera (esposta nel 2021 alla Galleria Nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma) le luci delle lampade erano accese. L’effetto era decisamente forte. I volti si alteravano ulteriormente, emanando un’atmosfera spettrale, di sospensione e nello stesso tempo di raccoglimento. L’obiettivo di Boltanski nelle sue opere è sempre stato quello di preservare “la piccola memoria”, la quotidianità, quella che i libri di storia dimenticano. Credo che con Autel Lycée Chases Christian Boltanski ci sia riuscito.
Autel Lycée Chases di Christian Boltanski (1944 – 2021)
Boltanski alla fine degli anni ’60 iniziò a collezionare foto in maniera quasi ossessiva. Non le scattava lui ma le recuperava tra oggetti smarriti o dimenticati (recuperava ad esempio tessere di passaporti, foto di archivio, foto di giornali e album di famiglia). In questo modo l’artista esplorava il potere della fotografia che nelle sue sperimentazioni trascende l’identità individuale per farsi messaggio collettivo e universale.
Nel caso di Autel Lycée Chases, Boltanski recuperò le foto di sette studenti del Liceo Chases. Ne alterò il viso scurendone gli occhi in modo da non rendere riconoscibile il volto (magari qualcuno di quei bambini si è salvato dalla distruzione nazista ed è vivo!) e li incorniciò in una serie di scatole di latta per biscotti, volutamente arrugginite per trasferire allo spettatore il senso di distruzione e di quotidianità passate.
I volti dei giovani studenti sono quelli dei liceali ebrei che nel 1931 studiavano a Vienna nel Liceo Chases. Autel Lycée Chases di Boltanski diventa una sorta di altare, dove le luci ci ricordano le candele, e i volti, immagini da venerare e ricordare, un monumento a tutti i morti dell’Olocausto. L’opera quindi ha un forte valore simbolico e universale che ancora una volta ci ricorda quanto assurda e dolorosa sia la guerra, perché alla fine, ricordiamolo, chi soffre inevitabilmente è sempre e solo la popolazione civile, inerme e inoffensiva.
Non è un caso, infatti, che Boltanski, nonostante l’esperienza personale (il padre ebreo nascose la famiglia sotto il pavimento di casa per mesi durante l’occupazione nazista) sia particolarmente attento al tema del genocidio con opere che ricordano non solo la tragedia dell’Olocausto ma anche le stragi compiute in altri paesi tra cui Cambogia, Ruanda e Bosnia.
Il suo obiettivo è sempre stato quello di commemorare le vittime ma anche di contribuire alla memoria perché cose del genere non accadano più.
Ecco, continuiamo a non imparare niente dal nostro passato…
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